Sin dalle origini della Terra e della specie umana si è sentita la necessità di riunirsi in gruppi di persone legate da vincoli linguistici, organizzativi o da interessi economici in modo da formare una vera e propria comunità. Per potersi distinguere le une dalle altre si usavano dei simboli distintivi propri del territorio in cui vivevano. I greci attribuivano dei nomi alle proprie insegne, traendoli da luoghi e fatti puramente immaginari. Siponto non fu da meno. Addirittura ne aveva sei, tra scudi e labari. Il cavallo, il toro e la tarantola, animali di cui il territorio dauno abbondava. Il toro che raffigurava il segno zodiacale costituito da trentatré stelle e rappresentava la forza violenta del fuoco e delle eruzioni vulcaniche. Il delfino che, oltre a simboleggiare il Golfo sipontino, ne rappresentava il dominio e l’innalzamento delle terre al pelo delle onde: “Se super aequora curvi tollere – consuetas audent delphines in auras”. (Si sollevano sopra la distesa dei mari profondi – i delfini vanno incontro ai venti consueti, Ovidio, Met II vv 265-268). Il dragone, la furia del fiume Dauno, ora Carapelle, e infine la seppia, dalla quale, pare, tragga origine il nome Siponto. Sulle bandiere e sugli scudi erano dipinti o ricamati i suddetti animali per indicare le varie legioni. Lo stemma della città, poi, era rappresentato da uno scudo in campo aperto con un fiume tempestoso (Dauno), attraversato da un ponte con tre archi, segno di dominio territoriale e di collegamenti commerciali con altri popoli, in particolare con l’Oriente. Una targa con quattro lettere: S. P. Q. S (Senatus Populusque Sipontinus), era in basso, al centro dei quattro pilastri. L’8 maggio del 494, a seguito dell’apparizione sul Monte Gargano di S. Michele Arcangelo, l’esercito sipontino decise di apporre sulle bandiere l’effige di S. Michele ricamata in oro e i nobili su petto delle giacche. L’anno 545 muore il vescovo Lorenzo Majorano e, nel 550, gli succede Felice II, il quale, per volontà popolare, sentito il clero, il senato e il duce Lucius Pompeus, in ricordo del gran prelato e per aver scongiurato l’assedio di Totila, decide di inserire nello stemma di Siponto l’effige del vescovo Lorenzo vestito con i paramenti sacri in sella a un cavallo bianco mentre attraversa il ponte sotto il quale si nasconde un drago . Qui il cavallo rappresenta il coraggio dei sipontini, il vescovo, la pace e il protettore di Siponto, il drago l’insidia di Totila. Questa insegna divenne il simbolo di Siponto, poi di Manfredonia fino al 1996. Dopo questa data, infatti, lo stemma sipontino subisce delle modifiche: il formato dello scudo, gli archi del ponte, da sesto acuto ad archi a tutto sesto, la corona principesca, in memoria di re Manfredi che col suo Decreto “Datum Orte” del novembre 1263 dispose la costruzione di Manfredonia, viene sostituita con quella turrita, e la scritta sistemata al di fuori dello scudo. La nuova veste viene trascritta nel Registro Araldico dell’Archivio di Stato il 6 giugno 1996. “Campo di cielo al vescovo Lorenzo visto di profilo, con il viso di carnagione, il capo coperto dalla mitra d’argento, tenuto con la mano destra non visibile il pastorale d’oro, posto in banda, il Vescovo vestito con l’ampia tunica di rosso, cavalcando il cavallo d’argento, imbrigliato di nero passante sul ponte di tre archi a tutto sesto, di rosso murato di nero, uscente dai fianchi e fondato Sullo specchio d’acqua di azzurro, luttuoso di argento, fondato in punta, caricato in punta dal drago di due zampe, di verde. Sotto lo scudo su lista bifida e svolazzante di azzurro, le lettere maiuscole S. P. Q S. d’oro. Ornamenti esteriori di Città”. Modifiche che poi, naturalmente, vennero apportate anche al gonfalone.
Matteo di Sabato
Informazioni tratte da testi di: Pascale, G. A. Gentile, Nicola Damiano