L’inizio di settembre fa da sfondo all’imminente ritorno alle cose lasciate nell’improbabile attesa di una ripresa che riveli i segni che qualcosa inizi a muoversi nel villaggio globale. Un lettore molto affezionato, sempre prodigo di acuti suggerimenti e certosine riflessioni per il ruolo che interpreta con rigore professionale nella collettività, mi ha ricordato che l’estate sta finendo ed un anno se ne va, lasciando irrisolti i tanti nodi da sciogliere nella comunità in cui consumiamo i nostri giorni. Il villaggio cui penso è Foggia, un tempo capitale della Daunia, oggi più che altro una città grigia, spampanata nell’inconsistente trama che chiude le sue contrade. Se ricordo bene “L’estate sta finendo” era anche un ritornello in voga alla fine degli anni ottanta. Era il 1985, lo cantavano i Righeira. Sono passati quarant’anni e quelle note tornano a riproporre gli antichi temi di quel microcosmo urbano importantissimo per le sorti dell’intera Capitanata ma sempre alle prese con la ricerca affannosa della sua identità smarrita, costretta come sembra nuovamente in un circolo chiuso di governanti e governati. Se gli uni e gli altri si mettono assieme avvicendandosi nell’ordinario quotidiano viene ad instaurarsi quel clima limaccioso, livido dove le opinioni si accavallano isolando in un angolo ristretto e parziale la coscienza degli altri. È un po’ ciò che va accadendo a Foggia dove l’attesa del cambiamento sembra delusa dall’avvento improvviso quanto imprevedibile di una politica chiusa in sé stessa, ancorché priva di visione. Parlo di una città che ben conosco in cui si perpetua un fenomeno strano dove le culture coesistono ma non si intendono. Sembra un paradosso, ma questa è l’amara verità! Di qui il dilagare del pressappochismo, della mediocrità, del populismo parolaio a buon mercato profuso da sudditi stralunati e amministratori improbabili. So che questa storia viene da lontano, ma speravo fosse giunta l’ora di invertire verità ineluttabili che, nel tempo, hanno impedito a Foggia di progredire e di fare quel salto di crescita che il cambiamento richiede. All’indomani della storica vittoria del campo largo ero sicuro che le idee di fondo che avevano sospinto la svolta prendessero subito corpo e sostanza, una certezza palmare che condividevo, perché nasconderlo, con Michele Emiliano e Marida Episcopo. E invece no! Il sistema che vedo trasparire riconduce alle solite vecchie liturgie rivelatrici, manco a dirlo, di una capacità direi stupefacente di imballare tutto nel nulla, come in un vuoto a perdere. I partiti osservano, forse subiscono questa incapacità innovativa ma cominciano a capire, credo e spero, che così non può andare. Il Pd cincischia, il Movimento 5 Stelle guarda con piglio critico, socialisti e centristi prendono le misure mentre le minoranze attendono pazienti come regolarsi in una assemblea ingessata che è lì, ancora ad interrogarsi su quale debba essere il suo ruolo nella temperie cittadina preda di un momento culturale, storico e politico delicatissimo. Adesso però le domande cominciano a sovrastare tutte le opinioni, nonostante gli illusionismi di maniera che si rivedono puntuali, come dieci, venti, trent’anni fa. Era questa la giunta migliore che Foggia meritava? Era impossibile dare spazio e ruolo a veri nuovi protagonisti? Colpa dei partiti e, se no, di chi? Investire culturalmente sul nome di Umberto Giordano, era o no una chance? E quei Consigli di Amministrazione così affollati di figuranti del sottobosco che senso hanno? È irresponsabile giustificare quella scelta con la scusa di dover placare gli appetiti dei partiti, perché non si può fare il male…con la scusa del bene. E così, come d’incanto, torna di attualità anche il tema delle aree dismesse o dismettibili a condizione delle Ferrovie dello Stato, nonostante i problemi che la società Metropolis regalò al progettista Benevolo. Evidentemente, certi amori non finiscono mai! Per carità, chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Sono vicende già bollenti sin dai tempi delle giunte Landella e Mongelli (ma non c’era anche la Episcopo o si tratta di un’altra persona?!). Senza dire delle possibili sorprese pesanti quanto imbarazzanti che potrebbero cadere sulla testa dei foggiani per il procurato fallimento dell’Amica. Mi chiedo: come ne uscirà il Comune di Foggia? Sul nuovo piano regolatore dell’Area di Sviluppo Industriale silenzio tombale, con le imprese che languono. Non c’è più neanche traccia degli stimoli imprenditoriali persi tra le strade accidentate di una Confindustria ormai in caduta libera, alle prese con una crisi di rappresentanza piena di veleni. Dunque, gira e rigira, la storia si ripete. Le periferie restano un mondo a parte, un degrado in cui prevale la marginalità tra strade che terminano nel nulla realizzando scenari urbani per il privilegio di attività più o meno illegali, denunciando una preoccupante miopia di intervento su una città in ombra. L’emergenza abitativa è una bomba ad orologeria con interi insediamenti fuori norma, abusi sempre tollerati e ora pronti ad esplodere. In centro il quadro non è diverso perché la sensazione che si ha rispecchia il triste passato. Il quartiere Ferrovie, dove vivo ed abita anche la prima cittadina, è un Bronx senza speranza, mentre la storica via Arpi è ridotta ad un cimitero, con attività chiuse in uno squarcio di abbandono spaventoso. La filiera commerciale resiste, ma in assenza di un serio, immediato intervento pubblico cadrà sotto i colpi dell’incuria indolente e pigra di una politica che da l’idea di non sapere e non vedere. Ora ci sarà la Festa dell’Unità che vorrebbe mettere in mostra i frutti di quasi un anno di lavoro in una passerella di certo accattivante. Ma servirà molta fantasia per raccontare una nuova storia che non credo sia mai cominciata, nonostante gli importanti compensi previsti oggi dall’ordinamento per la sindaca e la sua squadra di governo. Tutti nodi da sciogliere in un Palazzo dove si continua a camminare in attesa, perché non serve a nulla presenziare se non si agisce subito nel cuore dei temi. Sbaglierò pure, ma osservando fatti, luoghi e circostanze è come se Foggia sia stata svuotata dal di dentro ed accompagnata ad addormentarsi nuovamente in un lungo sonno. Mi piace prendere in prestito il pensiero di Guido Ceronetti, scrittore, giornalista ed artista di strada satirico e apocalittico, fustigatore implacabile delle cattive abitudini, che sembra descrivere questa mia sensazione con parole che trovo bellissime, anche perché portano comunque segni di speranza. “Che cosa dobbiamo temere più di tutto? Di certo la morte di una sorella sconosciuta, che si chiama ANIMA. Se anche fosse già avvenuta, come a volte mi viene da pensare, bisognerebbe tenere la stanza ammutolita e glaciale, sempre in ordine e aspettare che torni”.
di Micky dè Finis