Con la determina n. 1294 del 18 settembre 2023 veniva affidato ad un tecnico, l’incarico di redigere il PEBA (Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche). Esso rappresenta lo strumento in grado di monitorare, progettare, pianificare e coordinare interventi finalizzati al raggiungimento di una soglia di fruibilità̀ degli edifici pubblici o aperti al pubblico, degli edifici privati di interesse pubblico e degli spazi urbani, consentendo la creazione di un sistema accessibile nel suo complesso a tutti i cittadini. Tale lavoro aveva ricevuto il finanziamento dalla Regione Puglia. Finalmente anche Manfredonia poteva dotarsi di un piano propedeutico ad interventi esecutivi di eliminazione delle barriere architettoniche.
Invece, in questi giorni ci è pervenuta la notizia che il tecnico preposto ha rinunciato all’incarico e la tecnostruttura non ha provveduto alla sua immediata sostituzione, con il risultato che non avremo il piano perdendo così il contributo regionale che lo finanziava.
La qualità della viabilità a Manfredonia, per quanto riguarda l’eliminazione delle barriere architettoniche, è un disastro in particolare per chi è costretto a muoversi in carrozzina. Se si esclude l’isola pedonale di corso Manfredi, l’unica via percorribile in carrozzina, altre strade non ve ne sono. La città si sviluppa urbanisticamente lungo la costa ma non vi è un percorso lineare che garantisca la sicurezza e l’incolumità fisica di chi è costretto a percorrerla in carrozzina. Piccoli tratti, spezzoni di vie provviste di rampe che connettono il manto stradale e il marciapiede sembrano più il frutto dell’improvvisazione o di un forzato adattamento del “vecchio” al rispetto delle nuove regole. Il risultato è evidente: rampe mal costruite, dislivelli superiori alla norma, buche che affossano ogni possibile velleità di autonomia. Si sale con una rampa ma non si scende, perché all’estremità del marciapiede c’è un dislivello di 30-40 cm. A tutto ciò bisogna aggiungere “il senso civico” dei cittadini che occupano abusivamente gli spazi antistanti le rampe e gli stalli riservati ai disabili.
Ma i problemi di autonomia di questi nostri concittadini non finiscono qui. Sembrerebbe che a Manfredonia un disabile non abbia diritto di accedere ad un esercizio commerciale aperto al pubblico, cioè non possa andare al bar a prendere un caffè, oppure entrare in un negozio per fare la spesa. Infatti, in questa città, gran parte delle suddette attività non garantiscono l’accessibilità e la visitabilità a tutti i cittadini.
Ostacoli architettonici o culturali? Mettiamoci per un momento nei panni di chi si muove in carrozzina o di chi, semplicemente, ha un bambino piccolo in un passeggino o, ancora, di un anziano con difficoltà di deambulazione: basta un gradino all’ingresso del negozio per impedire a tutti costoro di entrare.
I principali riferimenti normativi per l’eliminazione delle barriere architettoniche nei negozi sono il decreto 236/89, la legge 104/92 e la legge 67/06.
Il decreto del Ministero dei Lavori Pubblici 236 del 14 giugno 1989 elenca le prescrizioni tecniche necessarie per garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica.
Il decreto, in particolare, stabilisce che le attività aperte al pubblico, come i negozi, debbano rispettare il requisito della visitabilità; gli spazi di relazione devono dunque essere accessibili anche a chi ha difficoltà motorie o sensoriali e se la superficie netta del locale è pari o superiore a 250 metri quadrati, almeno un bagno deve essere accessibile ai disabili.
Se le caratteristiche previste dal decreto non sono rispettate, il negozio non è considerato agibile. La norma si applica agli edifici di nuova costruzione (edificati dopo l’entrata in vigore del decreto) e a quelli precedenti, se ristrutturati.
La legge 104/92 o “legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, all’articolo 24 indica alcune delle procedure e degli adempimenti richiesti per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Questa legge stabilisce che nel caso in cui venga modificata la destinazione d’uso di un edificio in luogo pubblico o aperto al pubblico, il proprietario debba presentare anche una dichiarazione di conformità alle norme sull’accessibilità e abbattimento delle barriere architettoniche.
La legge 67 del 2006 con oggetto: “Misure per la tutale giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” si pone l’obiettivo di promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all’art. 3 della legge 104/92 al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.
Poiché il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità, è del tutto evidente che impedire l’accesso libero ai luoghi aperti al pubblico alle persone con disabilità è discriminazione; a tale proposito la recente sentenza Cass. Sez. III 23.9.2016 n. 18762 ha affermato il principio di diritto che “Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 67 del 2006 è discriminazione la situazione di inaccessibilità a un edificio privato aperto al pubblico determinata dall’esistenza di una barriera architettonica – qualificabile tale ai sensi della legge n. 13 del 1989 e dell’art. 2 del DM 236 del 1989 – che ponga una persona con disabilità (di cui all’art. 3 della legge n. 104 del 1992) in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. È perciò consentito, anche nei confronti di privati, il ricorso alla tutela antidiscriminatoria di cui all’art. 2 della legge 67/2006, applicabile ratione temporis, quando l’accessibilità sia impedita o limitata, a prescindere dall’esistenza di una norma regolamentare apposita che, attribuendo la qualificazione di barriera architettonica a un determinato stato dei luoghi, detti le norme di dettaglio per il suo adeguamento”.
Gaetano Granatiero
Un Cittadino in carrozzina