Sabato 20 e domenica 21 aprile, al Teatro Comunale “Lucio Dalla” di Manfredonia, la Bottega degli Apocrifi sarà in scena con “Pace – da Aristofane”, una produzione di comunità con 180 artisti, musicisti, bambini, adolescenti e semplici cittadini alla ricerca della Pace. Pubblichiamo un testo a firma di Stefania Marrone (drammaturga) e di Cosimo Severo (regista) degli Apocrifi. Il contributo, che accompagna la visione dello spettacolo, è stato ospitato da “Rocca”, la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi, impegnata per la pace, i diritti umani, la democrazia, la nonviolenza e la giustizia.
Succede di solito lontano dai grandi teatri e dalle principali direttrici culturali del Paese; le periferie (geografiche, economiche, sociali, culturali), i limen sono generalmente il terreno più fertile perché l’ascolto, che è la condizione principale del farsi coro, abbia il tempo di germogliare.
In una di queste periferie, a Manfredonia, in provincia di Foggia, è in corso in questi giorni l’allestimento corale di Pace, la commedia scritta da un giovane Aristofane oltre 2400 anni fa, le cui parole vibrano nel nostro presente con una forza inaudita.
Prende il nome di produzione di comunità e si tratta di un processo artistico che vede oltre 150 adolescenti e 30 bambini lavorare alla creazione di uno spettacolo, assieme ad attori e musicisti professionisti, che andrà in scena il 20 e il 21 aprile 2024 al Teatro Comunale “Lucio Dalla” di Manfredonia.
Un progetto di partecipazione artistica che si fonda sull’antico coro greco, presente tanto nelle tragedie che nelle commedie; ovvero un gruppo di cittadini (magari contadini, o donne, o saggi, addirittura uccelli, o rane) che prende parola collettiva in scena, anche attraverso il canto e la danza. Una parola collettiva che viene restituita al pubblico, ovvero ad altri cittadini che sono testimoni di un accadimento: un rispecchiamento tra palco e platea, un teatro che si fa agorà, pubblica piazza in cui vengono poste le questioni che stanno a cuore alla comunità.
Pace è un inno all’ingenuità, che scavalca l’accezione negativa con cui siamo soliti utilizzare questa parola e risale invece al suo etimo, ingenuus, ovvero nativo del luogo e quindi non bisognoso di filtri.
Il nostro ingenuo è Trigeo, un contadino che stanco della guerra decide di salire sull’Olimpo e parlare direttamente con Zeus perché faccia tornare Pace sulla terra. Un’operazione complessa la sua, fatta di tentativi fallimentari: grida disperate per farsi sentire, costruzione di una scala che arrivi fino al cielo, fino all’idea geniale, allevare cioè uno scarabeo, nutrirlo di escrementi finché diventi abbastanza grande da poterci salire in groppa e raggiungere il monte degli dèi.
Trigeo è un pazzo, un ingenuo, un folle, agli occhi dei suoi servi, dei cittadini di Atene, delle sue stesse figlie. Come folle è agli occhi di un mondo rassegnato chi non si rassegna, come folli sono i Felici Pochi di cui canta Elsa Morante nella sua Canzone degli F.P. e degli I.M., come folle è chi danza agli occhi di chi non può sentire la musica, per dirla con Nietzsche.
Cosi la compagnia teatrale Bottega degli Apocrifi si è messa in cerca di ingenui, cioè di qualcuno che avesse ancora la voglia di non rassegnarsi, la capacità di scandalizzarsi, ovvero il coraggio di non abituarsi, la forza di rifuggire le strategie che fanno furbi. E ha puntato tutto sui cittadini più giovani.
Così in questi giorni ci sono 150 adolescenti e 30 bambini che con i loro corpi, i loro sguardi e le loro voci rendono di nuovo vive – cioè rimettono in questione nel nostro presente – le parole di un testo classico.
Si lavora prima in gruppi separati composti da 15 a 50 ragazzi: si comincia dal cerchio, sempre. E in quel cerchio che permette di guardarsi negli occhi e di essere tutti sullo stesso piano nasce il coro che sa respirare assieme e al tempo stesso distingue il respiro di ognuno; in quel cerchio nascono le domande, quante guerre ci sono oggi nel mondo? Come comincia una guerra? Come finisce? Come si fa a sapere se è finita davvero? C’è stato un momento in cui non ci sono state guerre sulla terra? La prima guerra chi l’ha cominciata? E poi la domanda più ricorrente di tutte: Perché?
E, man mano che il cerchio si allarga, le domande risuonano più forti, tali da non poterle ignorare, ché questo fa il teatro: genera domande, semina dubbi, insinua speranze insospettabili, istiga alla partecipazione. È teatro politico, civile, sociale?
È teatro.
Ed è per questo che è politico, perché ha a che fare con la polis; è civile, perché si fa palestra di cittadinanza; è sociale, perché risponde come corpo collettivo a questioni collettive.
E non sappiamo immaginare oggi una questione più collettiva della Pace.