Negli ormai lontani 1956 e 1957, quando in occasione della manifestazione del Carnevale Dauno si composero canzoni dialettali e in lingua, adatte per l’occasione, si riapriva, forse inconsapevolmente, un vecchio filone della cultura popolare sipontina e cioè quello delle creazioni poetiche popolari. Tracce di ciò, è stato tramandato fino ai nostri giorni e si rilevano nei ricordi di chi ascoltava i banditori (bbannajule), oppure di quelli che, facendo da “palo”, venivano sorpresi dai gendarmi mentre i compari rubavano il grano dal piano delle fosse della Città (oggi piazza e via del Rivellino). Famosi erano alcuni personaggi, come Barbunètte, Chiarastèlle, Pagghjalonghe, Tremelande, Melone, ecc., banditori, o “spicciafacènde” (sbriga faccende). Questi, specie di Carnevale, con le loro “grida”, erano sensali e manutencoli inconsapevoli di noti “signori”, di incontri amorosi, leciti ed illeciti per un richiamo ai “i fratèlle e surèlle” per una “novena”, presso la tale chiesa o per la perdita di un oggetto prezioso da portarsi, una volta trovato, presso la cotale casa. Di questa tradizione abbiamo ancora chiari esempi in alcune strofette popolari, corrispondenti a fatti accaduti e degni di essere cantati con versi, come il caso di fra’ Gerardo, prima gabbato dai ladri e poi, rinsavito, gabbatore egli stesso dei medesimi. E sempre in riferimento a quest’ultimo: “Domusdomene… domusdomene… che bbèlle litte ca tene sta donne, se ne ndenèsse de marite me ha pigghjasse proprie ije”. (Domus Domini… Domus Domini… – Che bel letto ha questa donna! se non avesse il marito! me la prenderei proprio io). “Fèmmene bbèh!e e fèmmene bbrutte, don Arture piéce a tutte. Pe stu curdone li manne ha sanda bbenedizione”. (Donne belle e donne brutte, a don Arturo piacciono tutte.! Questo cordone! le mando la santa benedizione).
Giovanni Ognissanti