I 67 dipendenti dello stabilimento DOplà sono in attesa di conoscere la loro sorte dopo che la società di Treviso ha deciso di chiudere lo stabilimento di Manfredonia e trasferire macchinari e parte delle maestranze nello stabilimento del nord. I vari tentativi di trovare una soluzione percorribile, sono andati a vuoto. Leo Caroli, demandato dalla Regione Puglia a presiedere i tavoli di crisi aziendali, non ha abbandonato le speranze di riuscire a trovare una soluzione che contemperi le varie esigenze dei lavoratori e dell’azienda. In questa angosciante attesa, le maestranze presidiano i cancelli dello stabilimento per prevenire la pur ventilata intenzione di asportare furtivamente le macchine custodite nello stabilimento. Una situazione in evoluzione non si immagina con quale esito.
Per tanti versi la vicenda della DOplà, rappresenta la parabola del Contratto d’area: iniziata 23 anni addietro, quando la ragione sociale della società trevigiana era Giò Style, con grande entusiasmo e allettanti aspettative di sviluppo. A presenziare alla cerimonia di avvio del progetto, anche il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi. Le allettanti premesse del progetto non hanno incontrato terreno fertile per implementarsi come era pur legittimo aspettarsi. Tante le difficoltà di vario ordine: tecnico, burocratico, amministrativo, politico. Delle 81 aziende previste dai tre “protocolli” elencanti le imprese in gran prevalenza provenienti dal nord-est, candidate a insediarsi nell’ambito del Contrato d’area del Mezzogiorno, se ne localizzarono 53 per le quali i contributi statali ammontarono a circa mezzo milione di euro, che occuparono 1.600 lavoratori (la previsione era di 4.600).
Allo scadere dei cinque anni obbligati di permanenza nel Contratto d’area, cominciò la corsa al percorso inverso delle aziende localizzate nell’area di Manfredonia: il rientro al nord portando con sé quanto lucrato al sud col Contratto d’area. Un esodo che ha svuotato quelle aree delle attività che le animavano, i grandi capannoni diventati muti simulacri di speranze perdute. Una situazione di degrado e di disillusione della quale la DOplà è l’espressione tangibile di un fallimento annunciato. Una diaspora transitata tra la pressoché totale indifferenza di quanti ai nastri di partenza avevano sgomitato a mettersi in mostra. Fatto sta che l’area industriale di Coppa del vento, frettolosamente predisposta, ancora oggi presenta deficienze strutturali fondamentali quali acqua, fogna, internet. È venuta meno quella cura appropriata per far crescere un progetto appena innestato, quella gestione indispensabile per il funzionamento di una tale complessa struttura. Ha deciso, insomma, quel vulnus ormai consolidato della mancanza di una classe dirigente politica, economica, intellettuale all’altezza dei compiti che la città, vista ormai in un contesto più evoluto provinciale, richiede. Le ormai numerose esperienze vissute non hanno inciso positivamente. Una lacuna ripetutamente evidenziata che preoccupa, getta un’ombra di incertezza sul presente e sul futuro, dal momento che sono in gestazione iniziative economiche che ancora una volta tenteranno di utilizzare le potenziali risorse in loco per riprendere il discorso del possibile sviluppo del territorio.
Michele Apollonio