‘Terremoto’ al Viminale, dove il capo Dipartimento Immigrazione Michele Di Bari si è visto obbligato a rassegnare le dimissioni dopo le notizie in arrivo da Foggia che coinvolgono la moglie: tra le 16 persone accusate di caporalato nell’inchiesta coordinata dalla Procura di Foggia – che ha portato anche cinque arresti disposti stamani – c’è anche Rosalba Bisceglia, moglie del prefetto capo per il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione.
Appena ricevuta la notifica dell’indagine alla moglie, il dirigente ha subito mandato le proprie dimissioni al Ministero dell’Interno con la titolare Luciana Lamorgese che le ha accettate: «Il prefetto ha rassegnato le proprie dimissioni subito dopo la diffusione della notizia», fa sapere il Viminale. 62enne, già prefetto a Foggia e prefetto a Vibo Valentia, Modena e Reggio Calabria prima di approdare al ministero sotto la guida dell’allora Ministro Matteo Salvini.
Ormai è un’abitudine non condivisibile: un indagato non è nè un imputato nè un colpevole. Invece i commenti circa l’indagine sul caporalato sono quasi tutti di condanna: la moglie del dr. Di Bari è considerata colpevole a tutti gli effetti. Ma è solo un’indagata, cioè una persona sottoposta a indagine. Non è neanche un’imputata, qualifica che si acquista se e quando fosse formulata dal PM la richiesta di rinvio a giudizio. Per l’art. 27 Costituzione, poi, nessuno è considerato colpevole fino a sentenza definitiva di condanna. D’altronde, alla conclusione delle indagini il PM, in assenza di prove, potrebbe formulare richiesta di archiviazione. Pertanto, smettiamola di pronunciare “sentenze” di condanna e lasciamo che il magistrato prosegua serenamente nelle sue indagini.