La più lunga rincorsa elettorale non ha chiarito la situazione
IL LUNGO PERIODO di gestazione politica propedeutico alla consultazione elettorale del 7 novembre scorso, autorizzava a ritenere che maturasse qualcosa che avesse molto a che fare con le parole chiave richiamate insistentemente nel dibattito, vale a dire “cambiamento”, “nuovo”, “democrazia”, “trasparenza”, “competenza” e assimilati. Ci aspettava che le varie rappresentanze cittadine scese in campo, si muovesse in ossequio a quegli obiettivi, e elaborassero gli schemi opportuni che connotassero proponimenti che in qualche modo dessero sostanza e respiro a quei riferimenti. Si è sperato mese dopo mese, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, che gli uomini e le donne propostisi di rappresentare quelle prospettive, avvertissero forte l’esigenza di dare sostanza e corpo a quei principi di rinnovamento e di trasformazione che si andavano sviluppando nel Paese e in Europa. Una evoluzione ormai avviata e sostenuta anche con lo stanziamento di risorse finanziarie notevolissime, senza precedenti.
DI QUEL PROCESSO innovatore e lungimirante, non si è percepito neanche il bisbiglio. Tutto l’interesse, i buoni propositi dei vari movimenti affacciatisi alla ribalta del salvataggio di Manfredonia, si sono risolti in una sfrenata, insensata, arida corsa al potere, alla conquista degli scranni del consiglio comunale di Palazzo San Domenico. Non lesinando qualsiasi mezzo di propaganda e senza badare a spese, si sono dati battaglia a suon di “chi sei tu e chi sono io” e dunque sciorinando curriculum personali non già quelli in bella copia ufficiali, bensì quelli ufficiosi o addirittura segreti (o quasi), veri o falsi, tratteggiando così profili ben lontani da quelli che la bisogna elettorale reclamava. I vari candidati si sono impegnati alacremente a rinfacciarsi le scelleratezze più sconcertanti, più indecorose, che si possano immaginare, anzi si è andati oltre, nell’inimmaginabile. Un gran calderone da girone infernale nel quale regna la più completa confusione, le ascendenze politiche diluite in mille rivoli, la “destra” confusa con la “sinistra” e viceversa ad alimentare un laboratorio del nulla.
DA TANTO MARASMA, dopo la scrematura delle urne, sono rimasti i candidati più chiacchierati, a torto o a ragione. Non meno discussi anche i molti dei consiglieri destinati a far parte del massimo consesso cittadino; c’è anche chi ha festeggiato il ritorno in aula consiliare. A salvare in qualche modo la faccia di una Manfredonia a trazione “indietro tutta”, alcuni schieramenti presentatisi come sostenitori di “avanti tutta”, ma hanno pagato lo scotto di una mancata organizzazione ben mirata, eppertanto sono stati fagocitati dalla “vecchia guardia”.
AL TIRAR DELLE SOMME i tanto auspicati e sbandierati “rottura col passato”, “rinnovamento”, “cambio di passo”, “discontinuità” eccetera su questa tonalità, non sono stati per nulla sfiorati, sono rimasti slogan opportunisti privi di significato. È anzi opinione corrente, che si è punto e accapo. Tant’è che si ritiene che dietro questi deludenti scenari, niente affatto celato, bensì apertamente presente sia pure dietro maschere diverse, manovri per riconfermare il passato establishment, il vecchio e deprecato “clan” che da oltre un quarto di secolo ha dominato sulla città riducendola allo stato che per rilevarne il livello non occorre consultare le classifiche nazionali sulla vivibilità delle province e delle città, ma basta guardarsi intorno, constatare come lo Stato è dovuto intervenire mandando una Commissione straordinaria a ripristinare legalità e trasparenza nel governo cittadino.
BARCAMENANDOSI tra questi scenari niente affatto edificanti, la gran parata delle elezioni comunali per ridare alla città un governo eletto, è giunta alle battute conclusive: l’elettorato chiamato a dover scegliere tra i due candidati rimandati al ballottaggio. Un momento di sintesi che non ha risparmiato l’accendersi della bagarre degli “apparentamenti” per guadagnare qualche rappresentanza in più. La gran parte dei concorrenti rimasti fuori dalla lotta al vertice, si sono dichiarati autonomi. Almeno ufficialmente. I sussurri dicono che ci sarebbero accordi al buio in conto contropartita consiliare. C’è anche il caso di una lista che ha dichiarato ufficialmente di appoggiare uno dei due candidati in ballottaggio, in contrapposizione del proprio candidato sindaco che ha scelto di «tenere le mani libere».
E LA GENTE, GLI ELETTORI? Si aspettavano una campagna elettorale diversa, che presentasse situazioni chiare e ben definite che aprissero spiragli sui problemi reali della città. La popolazione è stata invece travolta da una alluvione di parole, parole, parole che hanno finito per far perdere l’orientamento. La notevole astensione al primo turno la dice lunga. È verosimile che anche al ballottaggio tornino a votare gli elettori compresi in pacchetti ben definiti (quante voci di accaparramenti sono corse!). Per gli altri c’è un punto interrogativo: dalla loro partecipazione o meno potrebbe dipendere l’ascesa dell’uno o dell’altro aspirante sindaco.
Michele Apollonio
Nessuno dei candidati ha accennato a come pensa di poter azzerare il passivo comunale, come recuperare il deficit. Cosa ci venderemo?