In questi giorni frasi e parole come “per non dimenticare”, Olocausto, Deportazione, sono alla portata di tutti. Tutti presi dal “Ricordare per non Dimenticare”. Chi, come me, ha avuto il padre prigioniero di un campo di concentramento, e ha ricevuto i ricordi di una persona che ha vissuto quei momenti non dimenticherà mai quelle sere vicino al braciere, quando con gli occhi lucidi, mio padre riviveva, raccontandoceli, quei tristi giorni. Mio padre l’Artigliere Radio Telegrafista Matteo Marinaro è stato prigioniero in un campo di concentramento in Germania per ben quarantatre mesi, quasi due anni. Fatto prigioniero dai tedeschi ad Asti l’11 Settembre del 1943, stipato nei vagoni al pari degli animali, con quaranta uomini per vagone, se non di più. Matteo Marinaro, dato per deceduto, ma miracolosamente salvo, tornato a casa ci raccontava che per sopravvivere nel campo di concentramento frugavano di notte nell’immondizia dei tedeschi per cercare qualcosa da mangiare. Ossa e pelle di galline, interiora, bucce di patate, tutto quello che poteva essere masticato e digerito. Ma la guerra era in corso e quando i partigiani, contrastando le truppe tedesche uccidevano qualche soldato, nel campo di concentramento, avveniva la rappresaglia, la Decimazione. Tutti i prigionieri venivano inquadrati e l’ufficiale tedesco iniziava a contare: “Eins, zwei, drei, vier…”, uno, due, tre, quattro… fino al numero 10. Il prigioniero numero 10 usciva dall’inquadramento e veniva messo di lato. Quando finivano tutte le righe, tutti i numeri 10 venivano fucilati. Mio padre, raccontava con voce roca, che una volta gli toccò il numero 8. Nonostante le sofferenze subite, nei suoi occhi brillava una luce di fierezza, quella di essere riuscito a farcela. Doversi nascondere tra i corpi maciullati dei cadaveri nelle battaglie, mangiare qualsiasi cosa, ritornare a casa a piedi o con mezzi di fortuna, niente lo impressionò. Nei suoi occhi, invece, era presente tanta tristezza quando raccontava delle scarse munizioni, oppure delle scarpe di cartone che gli fornivano, la rabbia di non poter combattere, di non poter svolgere il suo dovere, quello di difendere la sua Patria, il suo Paese. Storie come queste devono essere raccontate per farci capire che l’amor di Patria, per quanto oggi così poco sentito, è qualcosa che ci eleva e ci distingue da tutto e da tutti. A mio padre, Artigliere Alpino Radio Telegrafista Matteo Marinaro.
di Antonio Marinaro