Il 25 Novembre di ogni anno ricorre la Giornata Internazionale contro la violenza di genere, una condizione sociale che si potrebbe paragonare ad un iceberg, ad una graduale escalation che da segnali reconditi, sommersi giunge via via a forme sempre più efferate. La punta di questo iceberg è rappresentato dal femminicidio. Le statistiche rivelano che ogni tre giorni una donna muore per mano di colui che dovrebbe amarle. Il termine femminicidio spesso viene considerato un’invenzione, ma così non è in quanto racchiude in sè la matrice del fenomeno “ogni forma di violenza fisica o psicologica compiuta nei confronti di una donna perché donna” come rivela Marcela Lagarde, colei che coniò l’espressione per riferirsi a questa forma di abuso. Da quando è stata istituita tale giornata tante sono state le iniziative: cortei, convegni, flash mob, spettacoli teatrali, installazioni di panchine rosse. Lo scorso 25 Novembre anche a Manfredonia ha avuto luogo una marcia silenziosa indetta dalla commissione straordinaria, un silenzio carico di riflessione, memoria, ma anche opposizione verso ogni forma di violenza. Per l’occasione i luoghi simbolo della città, Palazzo San Domenico, sede del Municipio e il Castello svevo – angioino – aragonese si sono tinti di arancione, colore di speranza verso il futuro. Da Piazza del Popolo il corteo si è snodato in Corso Manfredi per giungere nei pressi del Castello, dove è stata letta una citazione del Talmud e la viceprefetta ha dichiarato le finalità dell’iniziativa. Notevole è stata la partecipazione cittadina, sia da parte di coloro che ricoprono cariche istituzionali, che da studenti e studentesse che da donne e uomini di ogni età. Manfredonia c’è dunque per ribadire il proprio NO, non solo in tale giornata, ma soprattutto in ogni azione quotidiana, a partire dall’educazione dei propri figli al rispetto e alla parità di genere. Tutti e tutte noi abbiamo una grande responsabilità affinché ciò non accada più. Sento di dover rivolgere un parole di vicinanza anche nei confronti delle donne trans, ancora troppo spesso dimenticate e oggetto di aggressioni, come rivelano le notizie di cronaca locale degli ultimi giorni. Diviene dunque necessaria una ri-educazione all’utilizzo del linguaggio, primo vero veicolo di stereotipi, perché non è più tollerabile che sia la vittima ad essere doppiamente denigrata da una cultura ancora aderente a principi patriarcali. Troppo spesso in sentenze o discorsi da bar si sente ancora la parola “raptus”, “gelosia”, “tempesta emotiva”, “è solamente un po’ burbero di temperamento”, o ancora in caso di stupro “e lei come era vestita? Non sa che così può attirare gli istinti maschili? L’uomo è cacciatore”, “questo è un lavoro da uomini. Cosa pretende di insegnarmi una donna?” ed infine “lei voleva lasciarlo”. L’amore non è possesso, l’amore non lascia segni sul volto e nell’anima. A te, donna, figlio o figlia, fratello o sorella, protagoniste o testimoni di violenza assistita: se ti ritrovi in queste parole vorrei dirti “scegli una strada diversa e ricorda che l’amore non è violenza. Ricordati di disobbedire perché è vietato morire”. I centri antiviolenza possono aiutarvi. Non siete sole e soli!
di Angela la Torre