di Concita de Gregorio Repubblica
Questa lettera è di Maria Teresa Valente, Manfredonia
Nel giorno in cui milioni di ragazzi nel mondo manifestano perché si abbia cura della Terra, che è di tutti, e un “normale uomo bianco” di 28 anni uccide musulmani in preghiera in nome della superiorità della sua razza – ha scritto un manifesto, anche lui, ha costruito un Pantheon di Dogi condottieri e criminali dei quali si racconta di seguire l’esempio – ricevo da Maria Teresa il resoconto di un piccolo episodio scolastico che riguarda sua figlia, 9 anni. Io, oggi, vorrei essere quella bambina che piange. Ecco la lettera.
“Orgoglio italiano. Via i rom, i rumeni; basta sbarchi e clandestini; stop immigrati. Negli ultimi mesi si abusa di queste frasi in maniera esponenziale, soffiando rabbia e alimentando il vento dell’odio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: si vive in un clima di paura che tende a sfociare in tensione sociale, con vari e, spesso, gravi episodi di cronaca che balzano ai nostri occhi, ma rimbalzano (ahimé) sui nostri cuori”.
“E poi… e poi ci sono loro. I bambini, i nostri figli, che litigano e si amano, che si spingono e si stringono, in un’altalena di emozioni che travalica l’attualità in cui sono immersi. Mia figlia, 9 anni, torna a casa da scuola con gli occhi gonfi di lacrime. Mi preoccupo e la interrogo su cosa le è capitato. A singhiozzi mi racconta che in classe hanno svolto un tema su come si sentono dentro. Come ci si può sentire in quarta elementare se non nel pieno della felicità e della spensieratezza? Ma il suo compagno di classe ha letto ad alta voce che è arrabbiato con Gesù perché non ha da tempo un papà e lo scorso anno la sua mamma e la sorellina di pochi mesi sono morti in un tragico incidente stradale”.
“E racconta di come si sente devastato dentro e di come il suo cuore sia a pezzi. E la mamma gli manca, da impazzire. E prega Gesù perché possa restituirgliela o portarlo presto da lei… da loro…
In classe i bambini sono ammutoliti. Il più birbante non tira più le trecce alla compagna di banco, il più loquace non ha più parole. Il più timido si alza e lo abbraccia. Il piccolo è rumeno e con la sua famiglia viveva in una campagna nei pressi di Manfredonia e la mamma lavorava nei campi, ma agli altri bambini non interessa”.
“Il giorno dopo preparano un cartellone per il piccolo amico con un cuore enorme ed una scritta semplice, ma profonda: ti vogliamo bene. Mia figlia piange e mi commuovo anch’io. E penso ai tanti papà, alle tante mamme e anche ai bambini che volano in cielo o annegano in mare. Guardiamo la tv e le tragedie ci colpiscono solo se lo speaker evidenzia che si tratta di italiani. Tutto il resto è noia.
Orgoglio italiano… Mi si stringe un nodo in gola. I bambini, loro sì sono piccoli saggi, perché sanno che il dolore non ha etnia. Così come l’amore”.
Concita de Gregorio