Domenica 22 Dicembre 2024

Gazzetta, dal 3 marzo non sarà in edicola. I giornalisti: sciopero ad oltranza. La lettera: stanchi di essere umiliati

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La Gazzetta del Mezzogiorno a partire da domenica 3 marzo non sarà in edicola: una scelta, quella votata oggi dall’assemblea dei giornalisti che hanno proclamato lo sciopero a oltranza, causata dalla persistente assenza di risposte da parte degli amministratori giudiziari sul pagamento degli stipendi e dei versamenti previdenziali arretrati, nonché sulle incertezze del futuro della testata. Una situazione che si trascina ormai da mesi, sin da quando il 24 settembre scorso, il tribunale di Catania ha sottoposto a sequestro le quote societarie dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo, azionista di maggioranza (70%) della Edisud Spa società editrice del quotidiano che vanta oltre 131 anni di storia.

Ecco la lettera dei giornalisti che spiegano il perché di tale sofferta scelta.

«Cari Lettori, quelle che state per leggere sono delle righe che mai avremmo voluto scrivere. Da domenica 3 marzo la vostra e la nostra Gazzetta non sarà in edicola. Non si tratta però di uno sciopero dei giornalisti della durata di qualche giorno, ma di uno sciopero a oltranza proclamato dall’assemblea di redazione. Il motivo è presto detto: siamo stanchi di essere umiliati. Stanchi di una situazione che si protrae ormai dallo scorso mese di ottobre e che, malgrado il nostro impegno e il nostro spirito di sacrificio per garantire la presenza del quotidiano in edicola, ha visto costantemente calpestata la nostra dignità. È ormai venuto meno un requisito indispensabile: il rispetto della dignità dei lavoratori, un rispetto che si concreta anche e soprattutto nel diritto a vedersi retribuire le prestazioni. E che per assurdo ci viene negato proprio dallo Stato, subentrato dopo il sequestro all’editore Mario Ciancio Sanfilippo nella gestione del giornale.

L’ultimo stipendio corrisposto ai lavoratori della Gazzetta risale allo scorso mese di novembre, poi nulla più. Acconti elargiti a mo’ di mance e, soprattutto, né buste paga, né altri giustificativi, ma solo tanto silenzio. Un silenzio assordante da parte di tutti: da parte di un’azienda che ancora oggi continua ad essere amministrata da Franco Capparelli, l’uomo di fiducia dell’editore indagato e che, malgrado sia stato sollevato dall’incarico con un provvedimento della magistratura siciliana dello scorso 19 gennaio, continua a esercitare le proprie funzioni; da parte degli amministratori giudiziari catanesi Bonomo e Modica che non rispondono mai per iscritto alle nostre istanze e che sembrano inspiegabilmente ostinati a voler cristallizzare una situazione assurda; da parte dello stesso Tribunale di Catania che, pur avendo ricevuto i rappresentanti di tutte le maestranze della Gazzetta, sembra non rendersi conto che i cosiddetti tempi tecnici della giustizia mal si conciliano con le esigenze di un’azienda editoriale e meno che mai con quelle dei lavoratori e delle loro famiglie, che pur senza stipendio sono costretti a doversi confrontare con le esigenze quotidiane della sopravvivenza. Sì, cari Lettori, avete inteso bene: sopravvivenza. Perché di questo stiamo parlando, non certo della rinuncia a qualche agiatezza.

Sin dallo scorso 24 settembre, data del sequestro-confisca disposto dal Tribunale di Catania, siamo costretti ad ascoltare una litania assurda. Si è osservato che le condizioni finanziarie della Gazzetta fossero gravi e, tanto per cambiare, si è cercato di imputarne le responsabilità al costo del lavoro: un’equazione che più semplice non si sarebbe potuta trovare. Ma invece non è così. Perché, se indubbiamente anche il nostro Giornale ha risentito della crisi che affligge tutto il mondo della carta stampata, alle origini del dissesto ci sono anche e soprattutto delle responsabilità imprenditoriali e manageriali che oggi si cerca di scaricare esclusivamente sulle spalle di chi ha solo fatto al meglio il proprio lavoro. Una situazione tipicamente italiana, la cosiddetta “socializzazione” delle perdite, che abbiamo più volte raccontato sulle nostre pagine dedicate al mondo del lavoro e che oggi anche noi viviamo in prima persona.

Noi siamo solo giornalisti, non abbiamo certo la pretesa di dare lezioni d’impresa. E però non possiamo fare a meno di notare delle incongruenze che nessuno in questi anni ha cercato di sanare. Non capiamo l’ostinazione a voler dotare la nostra azienda editoriale di costosi consulenti nello stesso momento in cui, motivandoli con la crisi, ai lavoratori venivano imposti tagli sugli stipendi. Non comprendiamo la scelta di raccogliere pubblicità anche per le testate nostre concorrenti, né quella di chiudere redazioni strategiche come quella di Matera – proprio nell’anno in cui la città è diventata Capitale europea della Cultura – seguita a ruota da Brindisi e, in questi ultimi giorni, dall’annunciata chiusura di Barletta. Un paradosso: quella gestione aziendale che, quando si chiedono lumi sulle retribuzioni e sui piani di rilancio, si vorrebbe ingessata dal commissariamento, diventa poi assolutamente sollecita e determinata quando si tratta di praticare tagli.

Di questi mesi terribili fatti di lavoro non retribuito, di notti, domeniche e giorni di festa trascorsi lontani dai nostri cari pur di garantirvi una corretta informazione, dei silenzi offensivi riservatici da chi aveva il compito di fornirci risposte e invece ha scelto la via della muta provocazione, ci resta solo il vostro grande abbraccio, la meravigliosa solidarietà che ci avete manifestato sostenendo ogni nostra iniziativa. Ma purtroppo non basta più, perché la misura è colma. Non è per niente facile decidere di fermarci a oltranza, di fermare quel giornale al quale da anni dedichiamo molto più tempo di quanto non ne riserviamo alle nostre famiglie. Ma così non si può più andare avanti e qualcosa dovrà pur accadere.

Chi può farlo dovrà darci delle spiegazioni: dirci ad esempio se intorno a questo giornale, che molti vorrebbero descrivere come agonizzante e che invece ha dimostrato di essere più che vitale, si aggirino imprenditori interessati a non interrompere centotrentuno anni di Storia e a garantire un futuro alla testata o avvoltoi interessati a concludere un affare a prezzo di occasione. Se la nostra battaglia per l’informazione trovi il riscontro delle parti sane, migliori, della società di Puglia e Basilicata o se invece sia destinata a soccombere per giochi che si ordiscono dietro le quinte. Se in quello Stato di diritto la cui integrità abbiamo sempre cercato di difendere e di raccontare sulle nostre pagine, sia possibile che l’applicazione delle leggi produca degli effetti così abominevoli. Ci congediamo da voi con un arrivederci, confidando, come diceva Eduardo, che questa lunga, buia “nuttata” possa passare presto, anche se, a questo punto, la sua durata non dipende da noi, ma da chi ha in mano le nostre sorti ed evidentemente ritiene di poterle gestire come se fossimo al teatro dei pupi. Vogliamo tornare a lavorare e desideriamo farlo il più presto possibile. Ma con delle risposte certe e chiare. E soprattutto con uno stipendio e con dignità».

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