Mò vône Natéle mò vône Natéle . Una canzone che subito richiama a noi manfredoniani le immagini più famigliari di uno dei momenti più rituali dell’anno: perché, si sa, a Natale cambiano (a volte) i regali ma non la sostanza. Natale sono le luci che si mettono per addobbare i propri balconi, le proprie verande. Luci spesso dai colori improponibili: quest’anno ad esempio va di moda un blu elettrico, a metà strada fra un segnale dell’Anas e l’insegna di un casino di Amsterdam. Natale sono i Babbi Natale che scalano i nostri balconi, a gruppi di 4 o 5, e in fila indiana, neanche fossero una spedizione alpina sul Monte Bianco. Natale è fare l’albero, con tutte le sue palline, le sue luci (la cui disposizione per me imbranato resta un mistero), e i regali ai suoi piedi, di cui da bambino cercavi di comprenderne l’entità. Secondo solo agli agenti della Stasi alle prese con l’analizzare la corrispondenza di un dissidente fuggito oltre il Muro di Berlino. Natale è fare il presepe. Con tutti i personaggi della tradizione e non. Persino con delle giraffe e degli ippopotami che sembrano or ora essere fuggiti dal circo di Moira Orfei. Con tante lampadine neanche Cristo fosse nato a Las Vegas. Con l’utilizzo di così tanto muschio, di così tanta carta che se arrivasse un invito di risarcimento a firma del Ministero dell’Ambiente non potresti far altro che pagare. Io di mio posso vantarmi di aver realizzato per mia nonna un presepe che infrange tutte le regole dell’urbanistica (e forse persino qualcuna della fisica), tutto abusivismo: molto made in Italy per capirci. Natale sono le canzoni di Michael Bublè ripetute all’infinito dagli auto-parlanti lungo tutto il Corso che, credo, scasserebbero (lascio al lettore immaginare cosa) persino la moglie dello stesso Bublè. Natale sono i regali fatti con il cuore ma anche quelli tattici: ad esempio le famose “buste”, dove il quantitativo di soldi da mettere viene determinato dal parente che per primo consegna all’altro (in genere un nipote) la busta. Naturalmente la conta di quanto ricevuto, fondamentale per stabilire quanto dare, non avviene davanti a tutti. Di solito la si fa in bagno. Poi con segnali in codice si comunica l’importo. Natale sono le mangiate del triduo 24-25-26 dicembre: praticamente una maratona no stop, che a paragone l’all you can eat dei ristoranti orientali è roba per educande. Si mangia, con il minimo comune denominatore del fritto, praticamente di tutto. La chiusura “magra” del 26 poi è una leggenda: di verde spesso vi è solo l’insalata. Per il resto la regola prevede di ingurgitare tutto ciò che nei due giorni precedenti non sia stato ancora mangiato. Natale sono i giochi con le carte, su tutti “piatto”, in cui si parte in modo amatoriale, puntando pochi spiccioli, per il solo gusto di “divertirsi” per poi ritornare a casa in mutande. O la tombola, dove si grida alla quaterna dopo soli due numeri usciti o dove all’uscita del 39 tuo nonno è convinto che si tratti del 77. Natale è dirsi “Basta l’anno prossimo il Natale lo faccio come lo dico io!”, per poi ritrovarsi al Natale successivo a fare le stessissime cose: forse perché senza queste cose, che amiamo/odiamo, a volte così stupide eppure così normali, il Natale non lo sentiremmo veramente nostro.
Domenico Antonio Capone