So che parlare di destra e sinistra, specie di questi tempi, è qualcosa che provoca in molti un certo fastidio fisiologico. Un po’ come se il presidente del Chievo vedesse comparire sul display del suo telefonino il contatto di Giampiero Ventura. Ma tant’è: nella vita o si sta fermi o si cammina; o si sta in piedi o seduti su una sedia, ed anche se sostituissimo al binomio destra-sinistra quello di Zio Paperone-Paperino, le iniziative proprie dell’agire politico saranno sempre riconducibili o al mondo del conservatorismo o a quello del progressismo. Lo stesso populismo non è esente da questa categorizzazione. Se il leghismo è populismo di destra, i 5 stelle possono solo all’apparenza ergersi oltre la destra e la sinistra, assumendo in realtà, vista la loro eterogeneità, i tratti ora dell’una, ora dell’altra. Un certo populismo di sinistra è invece incarnato dal sindaco di Napoli De Magistris, giunto pochi giorni fa nella nostra città per un’ iniziativa del suo movimento DemA. Il sindaco partenopeo, che pur dichiarandosi anch’egli oltre i concetti di destra e sinistra, ha ammesso di essere mosso sin da adolescente da ideali decisamente rossi, incarna molti aspetti del leaderismo populistico di sinistra proprio della cultura sudamericana. Un dato questo non insolito, vista la comune e prolungata sudditanza alla corona di Spagna e delle Americhe e del Meridione. De Magistris si presenta come antitetico al potere centrale e sua vittima, avendo dovuto rinunciare al ruolo di magistrato a causa dell’avversione nei suoi riguardi del Csm. Un’ostilità che tuttavia ha contribuito (cito testualmente) “a creare un mostro”, naturalmente a sostegno del pueblo; un pueblo, unico soggetto a cui è tenuto a rispondere, da cui Luigi ha ottenuto la forza, il coraggio di combattere in altro modo il sistema, candidandosi a guidare la sua città. Parafrasando Gentile si direbbe “tutto nel popolo, niente contro il popolo, nulla al di fuori del popolo”. La sua narrazione attraversata da candide bugie (come il non sapere fino a quando è diventato sindaco che il suo comune versasse in dissesto); luoghi comuni (“noi meridionali conoscendo la sofferenza siamo più buoni”, in riferimento ai leghisti in tema di immigrazione); un pizzico di prosopopea (“Nessuno aiuterà Napoli. Napoli da sola si è liberata dal Nazi-fascismo per prima in Europa”)e di messianismo (“Ho cacciato dal tempio i lestofanti”), dove Vangelo e Manifesto si incontrano in pieno stile latinos. Il suo populismo, suggellato dal considerare che il popolo, depositario della giustizia, deve lasciarsi “guidare” da chi, come lui, sta in prima linea (a riprova di come il populismo che si professa “orizzontale”, necessiti e tanto, forse ancor più dei partiti, di un potere “verticale”), non deve essere classificato come anarchismo un po’ folkloristico. Compito dei partiti, specie di quel Partito democratico che si fregia ancora di tale sostantivo, dovrebbe essere il recuperare quella dimensione di prossimità alla gente, le cui richieste non di rado sono strumentalizzate dai populisti. Nella convinzione, propria di Moro, che il partito sia un luogo che permetta “il passaggio dal singolare all’universale, dal fatto alla legge”. E non, visto che tra un po’ “a sinistra” si va a Congresso, luogo di conta, dove cioè i nomi della gente contano sì ma spesso solo per stampare una tessera in più del proprio avversario.
Domenico Antonio Capone
Ben vengano i populisti che rispettano la costituzione e i referendum popolari