Ogni parola (anche una delle più generiche come casa) è l’unione fra un significante (nel nostro caso l’insieme dei segni grafici e dei suoni delle lettere c,a,s,a) e di un significato (il concetto a cui ci si riferisce: la costruzione adoperata come dimora, nell’esempio proposto). Attraverso essi le parole vivono nel nostro quotidiano, permettendoci di comunicare e di tratteggiare la nostra visione del mondo. Nel tempo però esse cambiano, si modificano, non sempre in egual misura nel loro significante e nel loro significato: a volte si continua ad adoperare una parola dal significante, dalla forma, molto suggestiva anche se il suo significato originario risulta sganciato dalla realtà presente. Consideriamo la parola compagno, centrale nel pensiero politico di sinistra. Al giorno d’oggi continua ad indicare, come descrive la sua etimologia, “colui che mangia il pane con un altro”? Colui che vive, soffre, lotta con l’altro, suo compagno appunto, per un progetto comune? A guardare le reciproche accuse, le litigiose correnti presenti nel variegato mondo di sinistra (da LeU al P.D.) sembrerebbe di no. Viene sì ancora adoperata con una certa enfasi da alcuni dirigenti, spesso per nobilitare discorsi dagli scarni contenuti, ma essa è totalmente sconnessa, come si diceva, con il suo primario significato. Ne deriva nostalgia nei più vecchi militanti, e indifferenza, se non riso, nei più giovani. Altre volte, invece, è la scomparsa di alcune parole ad attirare la nostra attenzione. Si veda l’operazione di restyling condotta da Salvini elimando progressivamente dal simbolo del suo partito l’aggettivo nord (fondamentale nella Lega delle origini, in lotta contro il potere centrale di Roma, per ricollegarsi alla storica unione medievale di 5 città del settentrione in funzione anti-imperiale). Un’iniziativa questa resasi necessaria per abbracciare un progetto politico più ecumenico, da Lega nazionale. Naturalmente il significato e il significante delle parole sono arbitrari, stabiliti da chi detiene un potere, o se vogliamo, da chi gioca in un certo contesto un ruolo determinante. Il rapporto dei 5 stelle con alcune parole del vocabolario politico è esemplificativo a riguardo. Fino all’ultimo giorno della passata legislatura i grillini indicavano, al pari dei leghisti, con la parola inciucio qualsiasi tentativo di convergenza fra due o più schieramenti. Ora che invece si trovano nella necessità di ricercare un partner politico che permetta loro di guidare il Paese chiamano ciò, l’antico e bestemmiato compromesso, con l’aulica espressione di cooperazione per una responsabilità governativa. Per non parlare poi della possibilità, ventilata dal loro Vate (D’Annunzio mi perdoni!) Grillo poco prima del voto del 4 marzo, di archiviare l’epoca dei Vaffa, tutta imperniata nell’ossessiva ripetizione durante cicliche adunate di una parola, il VAFFANCULO, in grado di incarnare la protesta popolare. Cambiare nella vita è legittimo, in alcuni casi doveroso. Analizzare però perché si cambi il significante e/o il significato di una parola, perché si adoperino nuove parole o se ne abbandonino altre, è fondamentale per comprendere la realtà che ci circonda.
Domenico Antonio Capone