Lunedì 4 Novembre 2024

La Chiesa Sipontina nella: Relatio ad limina dell’ arcivescovo Orsini 13 agosto 1678

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Ricostruire gli avvenimenti, raccontare le vicissitudini alle quali è andata incontro la Chiesa sipontina in un particolare periodo, diventa alquanto difficile, visto che i documenti dell’archivio episcopale che parlano di essa sono andati quasi tutti distrutti dopo il sacco dei turchi del 16 agosto 1620. Ciò nonostante, ci sono stati anche dei momenti, pur se brevi, in cui la nostra Chiesa ha scritto pagine luminose, eventi che hanno cambiato radicalmente il suo modo di essere e di esistere, 58 anni dopo la sua distruzione. Ci riferiamo al vescovado di Fra’ Vincenzo Maria Orsini (1675-1680), poi Papa Benedetto XIII e ai suoi cinque intensi anni di ministero episcopale al governo della Diocesi sipontina. Lo si evince dalla “Relatio ad limina”, documento con il quale il presule informa il Sommo Pontefice sul proprio operato, sulle condizioni della diocesi e dei fedeli, anche a carattere socio-economico, che così introduce: “Beatissimo Padre col cuore e non di persona, così come è previsto dall’uso canonico, secondo i documenti pubblicati alla Sacra Congregazione del Concilio, mi presento riverente ai Sacri Limini per porgere il mio pontificale ossequio al Soglio supremo del mondo cattolico. Per il 31° triennio viene in visita in vece mia, Michele de Flore, abate di questa chiesa metropolitana ed io, molto umilmente,, informo la Santità Vostra sulle condizioni della mia Diocesi e dei miei fedeli affidati”. A partire dalla fede cattolica appresa dai sipontini nel 44 d.C. da S. Pietro mentre andava a Roma, il presule fa una lunga e dettagliata analisi della Chiesa, dopo la distruzione della vecchia Siponto, rivolgendo la sua attenzione alla Sipontum Novellum (Manfredonia), fondata da re Manfredi nel 1256 e ubicata a poca distanza, alle falde del Gargano, protetta da un poderoso castello e circondata da mura e solide torri. Della città costituita da 533 famiglie e 2562 anime. Della chiesa cattedrale, distante da Manfredonia mille passi eretta in onore della Beatissima Vergine quando la stessa Siponto era ancora in vita e consacrata dal Vescovo S. Lorenzo, ridotta poi in pochi ruderi. Fatta poi ricostruire dall’Arcivescovo Annibale Ginnasio nelle immediate vicinanze, ponendovi l’immagine della Vergine, tanto venerata. La chiesa sottostante, ritenuta una grotta, poi destinata da mons. Orsini a cimitero. La chiesa, sotto il titolo di Santa Maria Maggiore, ritenuta sede unica della diocesi fu dallo stesso vescovo nel 1675 riportata al suo vecchio splendore con una solenne dedicazione. Considerata la vera Cattedrale, ma non di facile frequentazione a causa della distanza dalla città, fu edificata nella nuova Siponto (Manfredonia) un’altra chiesa intitolata a S. Lorenzo ritenuta da tutti Cattedrale Metropolitana. Ridotta in gran miseria anche a seguito del sacco dei Turchi, nei primi mesi del suo vescovado mons. Orsini provvide a proprie spese a far riparare le porte, il tetto, la pavimentazione, i sette altari, gli organi, la costruzione delle cattedre arcivescovili, il fonte battesimale, il restauro delle parti esterne. La costruzione del campanile con le sue cinque campane, il cimitero e l’ospedale. Non ultimi i meravigliosi paramenti sacri donati alla Chiesa sipontina, oggi esposti nel meraviglioso Museo diocesano. Mons. Orsini conclude la sua nutrita ”Relatio ad Limina” evidenziando che: ”Questa chiesa risplende per la presenza di molte ed illustri reliquie, essenzialmente per i corpi di S. Lorenzo , vescovo sipontino e Patrono di questa cattedrale, di S. Giustino vescovo, di S. Felice e di S. Florenza Martiri, concittadini della vecchia Siponto; i loro corpi hanno sperimentato i danni del volgare eccidio dei Turchi nel 1620. Vi sono ancora tanti altri corpi; parti di essi sono stati donati a questa chiesa Metropolitana dall’arcivescovo Marullo. Nella mia santa ispezione, con somma amarezza, li ho trovati anneriti, corrosi dal fuoco e custoditi in casse fracide, piene di impurità. Con angoscioso turbamento ho esaminato detti corpi per una migliore risistemazione; li ho riposti in urne e casse convenientemente decorate. Con due solenni traslazioni, ho posto alcune di queste sacre reliquie sotto l’altare maggiore, in un sepolcro di marmo artisticamente realizzato, altre sotto la parete del coro in due dignitosi reliquiari; tutte queste operazioni sono state per mio ordine documentate tramite pubblici notai”.

Matteo di Sabato

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