Siamo ormai nel cinquantennio del ’68, periodo storico che con i suoi valori ed i movimenti sociali, politici, culturali ed economici ha influenzato la vita personale e collettiva di tante persone, nel mondo, in Europa, in Italia, a Manfredonia. Pertanto si propone con la seguente riflessione un po’ di storia politica, culturale ed etica, nazionale e locale, ed un po’ di memorialistica per capire il presente, anche, a Manfredonia. Data l’articolazione dell’analisi in più parti è importante, per una completa ed adeguata comprensione, leggerla nell’insieme. Ancor più sarebbero utili interventi di altre persone ed altre voci per aprire un dibattito pubblico, il più profondo, pluralistico e ricco possibile.
I MOVIMENTI GIOVANILI DEGLI ANNI 60 ED IL VALORE DELL’ANTIAUTORITARISMO
Gli anni pre-’68 in Italia e in Europa erano caratterizzati dalla nascita di movimenti giovanili libertari in tutti i sensi ed in tutti gli ambiti, direi anarchici, che volevano sperimentare modelli, stili, esperienze concrete di vita innovativi e contestativi rispetto ai valori del sistema sociale dominante: dagli hippy ai figli dei fiori, dal rock ai cantautori, dalle comuni civili alle comunità religiose, dagli spinelli ed allucinogeni di massa, dalla poesia ai romanzi, dalla e nella liberazione sessuale, si proponeva un sistema di vita concreta fondato sui valori di libertà, solidarietà umana spontanea, di espressione e creatività del sé che metteva in discussione l’autoritarismo e l’obbligatorietà dei vincoli sociali. Obbligatorietà che veniva considerata inutile e negativa per realizzare un vivere felice fondato sulla bontà dell’essere umano in quanto tale. Perciò alla luce di ”VIVA L’ANARCHIA E VIETATO VIETARE”, si puntava a vivere senza quei valori inculcati dai “padri padroni”, centrati sul successo, l’arrivismo, il guadagno a tutti i costi e su un modello di vita prestabilito fondato sulle tre M Macchina, Moneta, Moglie. Naturalmente questi movimenti giovanili erano limitati e parziali, di nicchia e, quindi, anche se contestativi, ben assorbiti ed integrati in e dal sistema dominante.
Ancor prima del ’68, quindi, nella società e nella cultura italiana, europea e, soprattutto, americana i movimenti giovanili avevano già conquistato uno spazio, una visibilità ed un ruolo nella realtà sociale e nella coscienza popolare. Si stavano affermando i valori dell’antiautoritarismo, della liberazione da ogni forma di oppressione, personale e collettiva, dell’uguaglianza delle opportunità, della libera e piena espressione di sé. Anche in Italia, in particolare sotto la spinta delle nuove esigenze nate dal miracolo economico, tali valori si stavano diffondendo come fatto culturale, di mentalità e di costume soprattutto tra i giovani ma anche tra i cittadini. Ancor prima del ’68 tale rivoluzione giovanile, affermatasi nelle università e nelle scuole come lotta contro il baronismo ed il cattedraticismo, per una pedagogia ed una scuola più aperta, più democratica, meno classista e selettiva, si stava estendendo nella società civile. Su queste basi anche al livello politico si muovevano i primi passi di contestazione ai partiti ed alle istituzioni dominanti, ritenute autoreferenziali, lontane e superate dalla nuova realtà sociale.
IL MOVIMENTO STUDENTESCO DEL’68 FU GENERALE E DIRETTAMENTE POLITICO
Perciò il Movimento studentesco, quando nel ’68 scoppiò con una forza autonoma ed una dimensione straordinaria, apparentemente imprevista ed imprevedibili, si caratterizzò subito come un movimento generale, e, quindi, immediatamente politico, anche se sicuramente preparato dai sopraindicati e specifici movimenti giovanili. Metteva in discussione totalmente il sistema, lo voleva cambiare radicalmente, considerandolo oppressivo e classista in tutte le istituzioni che lo componevano: le Università, le fabbriche, la famiglia, l’apparato giudiziario e di pubblica sicurezza, i partiti, la chiesa, ecc. erano tutte ISTITUZIONI TOTALI MASCHERATE che, come le carceri ed i manicomi, erano, comunque, oppressive della libertà individuale e del valore della spontanea solidarietà umana, espressione del dominio classista delle classi sociali dominanti.
Nel ’68 il Movimento Studentesco era un movimento politico anche nella pratica del suo operare e non solo nelle analisi; nelle università si ridimensionarono fortemente le vecchie distinzioni tra le sigle partitiche (UGI, FGCI, AGI, ecc.) e prevalse una visone e pratica più unitaria della organizzazione giovanile in quanto tale; GIOVANI TUTTI UNITI a proporre un nuovo mondo al cui centro c’era la lotta contro l’autoritarismo in ogni sua sfaccettatura e che toccava tutte le istituzioni sociali, politiche, religiose, morali, ecc.
IL MONDO CATTOLICO IN FERMENTO
Nel mondo cattolico da anni c’era un gran fermento sotto le spinte del Concilio Vaticano Secondo. Il messaggio di rinnovamento della Chiesa, intesa unitariamente come gerarchia e come popolo di Dio, con una forte rivalorizzazione di quest’ultimo, aveva una ricaduta su un doppio versante. All’interno, nel mondo religioso, emergeva fortemente il bisogno di una chiesa meno burocratica, più viva, più partecipata, più vicina ai deboli ed alle proprie origini comunitarie; ciò aveva portato ad una ripresa del valore della spiritualità, personale e di gruppo, da vivere in modo consapevole ed attivo e non abitudinario e passivo, ed alla nascita anche di esperienze nuove in tal senso, tra cui molte comunità religiose di base.
All’esterno, nella società civile, portava alla messa in discussione del principio dell’unità politica dei cattolici nella DC; ad una chiesa, quindi, non compromessa nel gioco politico a favore di un solo ed unico partito, ad una Chiesa che stimolava al libero e plurale impegno politico dei cattolici, fondato sulla libertà di coscienza e valutazione personale nelle scelte terrene e politiche. Jacques Maritain e Emmanuel Mounier, i loro libri, in particolare le loro riflessioni sulla necessità di mantenere al centro dell’attività politica la persona e non le organizzazioni partitiche, furono fondamentali. La persona viene prima di ogni istituzione, l’impegno politico era un servizio per la persona tanto che fu elaborata e praticata una nuova visione, un nuovo approccio all’impegno politico dei cattolici: il personalismo, tuttora, molto vivo e presente.
L’INQUIETUDINE NELLA SINISTRA
Nel mondo comunista, nel PCI e nella sinistra italiana c’era altrettanto fermento con la nascita di gruppi e movimenti aperti ed il proliferare anche di riviste, giornali, libri che, andando oltre L’Unità e Rinascita, proponevano un confronto a tutto campo dentro il PCI e fuori dal partito. Veniva di fatto messa in discussione l’idea e la pratica di un partito monolitico, dominato dal centralismo democratico, diventato molte volte centralismo burocratico, strumento nelle mani dei dipendenti – burocratici – dirigenti del partito e, quindi, espressione più dell’apparato organizzativo che momento storico di costruzione e mantenimento del legame tra democrazia di base ed unità del Partito, che aveva storicamente garantito la sua crescita ed il suo radicamento nella società italiana. ”L’UNITÀ NELLE DIVERSITÀ“ era la nuova idea – guida che veniva proposta nella sinistra, considerata più aderente alla realtà della società italiana, più aperta, più democratica, e, quindi, in grado di garantire radicamento del PCI e della nuova sinistra alle nuove condizioni storiche dalla società italiana. Soprattutto nella “Nuova sinistra“ ma anche all’interno dello stesso PCI veniva contestato il suo essere dipendente e “satellite“ del partito comunista sovietico, dipendenza che aveva portato troppe volte a negare il carattere autoritario e l’arretratezza economica, culturale e democratica della stessa Unione Sovietica, dove in realtà le condizioni di vita del popolo erano misere e fortemente disuguali. Il confronto politico fu così forte all’interno del PCI che alcuni dirigenti comunisti ne uscirono e fondarono il gruppo del Manifesto, nome simbolicamente teso a rappresentare un ritorno alle origini, a fondare l’impegno politico su analisi e ricerche delle nuove condizioni socio-economiche-culturali della società italiana e del nuovo capitalismo occidentale.
LA NUOVA CULTURA E IL RUOLO DELLE SCIENZE SOCIALI PER IL CAMBIAMENTO
All’interno di questo clima e processo di grande vivacità culturale e politica nell’intera società italiana e mondiale, il movimento studentesco del’68 portò avanti nella teoria e nella pratica lotte per il rinnovamento della società italiana contro ogni discriminazione, a partire dalla liberalizzazione dell’accesso all’università. Infatti allora solo coloro che venivano dai licei erano liberi di iscriversi a qualsiasi facoltà e, mirare, quindi, ad un ruolo dirigente nella società indipendentemente dal merito e dalle capacità possedute. A tutti gli altri diplomati ciò era impedito, rendendo evidente una discriminazione inaccettabile, il mantenimento di subalternità sociale, culturale e economica ai ceti operai e medi emergenti. Si svelò in tutta la sua negatività dirompente che il sistema scolastico, formativo ed universitario era classista. Questo approccio, lotta alle discriminazioni, si estese nel mondo del lavoro; studenti e operai uniti insieme, nelle fabbriche, nelle università, nella società, nella lotta contro ogni discriminazione sociale e culturale. Da ciò anche la conquista delle 150 ore di permesso dal lavoro per studiare e la nascita e diffusione di scuole popolari, consapevoli del ruolo fondamentale che aveva la cultura ed il sapere per l’emancipazione individuale e di gruppi sociali, sostanzialmente emarginati se non espulsi dal sistema scolastico. Moltissimi furono gli studi, le ricerche sociali, i convegni e le tantissime iniziative popolari tese a dimostrare come il sistema scolastico fin dalle scuole elementari e medie si caratterizzasse in modo classista, respingendo i figli dei ceti sociali più deboli.
Un contributo forte e specifico in questa direzione venne dall’’Università di Trento, dove nell’anno accademico 1962/1963 era nato l’Istituto di Scienze Sociali, poi facoltà di Sociologia, insieme ovviamente ad altre università, la Statale di Milano, Pisa, eccetera.
Infatti tale facoltà, con nome iniziale di Istituto Universitario di Scienze Sociali, fu promossa dalla Provincia di Trento, guidata allora da Bruno Kessler, esponente illuminato della sinistra democristiana, con posizioni diverse da Flaminio Piccoli, dominus della DC locale, dirigente nazionale e successivamente segretario nazionale della DC, con l’obiettivo di svecchiare, rompere l’immobilismo della società trentina con uno strumento, le Scienze Sociali, in grado di creare quadri dirigenti nuovi, e di aprire nuove prospettive culturali – socio – economiche, in modo da valorizzare le enormi potenziali risorse possedute. Contemporaneamente c’era anche l’obiettivo di rompere l’isolamento del Trentino, inserirsi nel processo di cambiamento della società italiana, offrendo uno strumento culturale nuovo, qual era allora l’Istituto Universitario di Scienze Sociali in Italia, prendendo spunto dal forte ruolo innovativo di tali discipline e studi negli Stati Uniti. Furono chiamati a Trento i migliori studiosi italiani di tali discipline, che allora operavano all’estero o singolarmente in Italia, con qualche singolo insegnamento, in facoltà di scienze politiche, o di economia o di filosofia e pedagogia.
In Italia nel 1962/63, infatti, non esisteva una facoltà di Sociologia, né di Psicologia, né di Antropologia né di Scienze Sociali per due ragioni storiche e culturali precise:
- il fascismo aveva bloccato e proibito l’insegnamento delle scienze sociali nelle università perché ritenute strumenti di analisi critica delle reali condizioni di vita della popolazione, misera e arretrata, come dimostrato dalle varie inchieste sociali promosse negli anni 20 dallo stesso Parlamento italiano. In sua vece furono create e sviluppate Facoltà di Scienze Politiche, tese ad affermare ed inquadrare culturalmente dirigenti politici ed amministrativi della società italiana, guidata dal fascismo.
- il dominio nella cultura italiana dell’epoca della filosofia idealistica crociana, poco propensa di per sé a dare spazio e valore a metodologie di ricerca scientifica sulle problematiche culturali e socio-economiche. Perciò nel mondo accademico italiano c’erano pochi insegnamenti ed altrettanto pochi docenti di discipline fondate sulla scienza sociale, psicologica, antropologica.
Metelli e Meschieri, per la psicologia generale e sociale, Volpato per la matematica e la statistica sociale, Andreatta e Prodi per l’economia, Altan per l’antropologia, Ferrarotti e Alberoni e poi Chiara Saraceno per la sociologia, Norberto Bobbio per la filosofia del diritto (non a caso rettore all’Università di Trento), Pasquinelli per l’epistemologia e la metodologia della ricerca. In particolare Sabino Acquaviva, docente di sociologia delle religioni e di ricerca sociale, molto vicino alla Puglia ed all’area garganica, tanto che le sue ricerche sul Gargano (a cui partecipai come intervistatore responsabile di zona), molto originali, ripetute e prolungate nel tempo per vent’anni, hanno dato un contributo determinante non solo alla conoscenza ma allo stesso sviluppo economico – sociale – culturale dell’area garganica; “LA MONTAGNA DEL SOLE” è stata una sua invenzione, oltre che il titolo delle suddette ricerche.
Vale la pena evidenziare un valore aggiuntivo che ebbe l’Istituto Universitario di Scienze Sociali di Trento, che in qualche modo anticipò alcuni aspetti centrali che si manifestarono poi nel’68 in tutte l’università italiane. Nei primi anni, proprio per il carattere innovativo ed originale dell’istituto (l’unico in cui si potevano studiare Scienze Sociali), affluirono a Trento studenti universitari provenienti da ogni parte d’Italia, fortemente motivati dagli studi nuovi (e da sottolineare a riguardo che allora la facoltà di sociologia non aveva alcun riconoscimento legale, che avvenne solo successivamente, dopo tante lotte ed iniziative parlamentari, nel 1971). Tali studenti universitari per la prima volta in Italia provenivano da qualsiasi scuola superiore, non solo dai licei; così Trento rompe di fatto il classismo presente nel sistema universitario italiano, diventa meta di un considerevole numero di giovani disposto a mettere in discussione i modelli culturali e sociali consolidati e carichi di voglia di sperimentare nuove vie. A ciò è da aggiungere il fatto che una buona parte di questi studenti avevano una storia, esperienze di impegno politico e sociale nei partiti e nei sindacati ed anche fuori, nella sinistra, nel mondo del cattolicesimo democratico ed del volontariato religioso nelle parrocchie. Da questo crogiolo di diversità emerse gradualmente, sotto la spinta iniziale delle lotte nel 1966 per il riconoscimento legale del titolo di studio, un processo unitario di amalgama tanto che facilmente si superano le differenze delle varie sigle, ed i giovani studenti si identificavano sempre più come studenti in quanto tali, come tutt’uno, un nuovo gruppo sociale portatore di istanze e valori comuni. Ad esemplificazione di questo progressivo processo unitario prendiamo, da una parte, Marco Boato, che a Venezia è stato pupillo di Monsignor Capovilla, segretario del Cardinale Roncalli diventato poi Papa Giovanni XXIII e, dall’altra, Mauro Rostagno già esponente giovanile del PCI e della sinistra sindacale, i quali gradualmente, pur partendo inizialmente da posizioni molto diverse, diventarono espressione, leaders riconosciuti ed unitari dell’intero movimento studentesco.
FINE PRIMA PARTE. N.B. Nel prossimo articolo si parlerà come questo movimento, studentesco e generale, si manifestò e trovò senso, espressione e spazio anche a Manfredonia, approfondendo alcuni specifici episodi, quali la rielezione di Michele Magno al Parlamento Italiano e la grande manifestazione giovanile cittadina contro l’occupazione sovietica in Cecoslovacchia.
Silvio Cavicchia