Meta ambita da tutti; fonte di ricchezza ma anche responsabile della nostra salute; perno strutturante il nostro vivere in società il lavoro è elemento centrale nella definizione dell’essere umano, come ben si evince nella Costituzione italiana. Nell’art.1 (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”) non solo si sottolinea che il popolo italiano, responsabile della scelta istituzionale repubblicana, è detentore della sovranità, e che pertanto lo Stato sia res publica, cosa pubblica, gestita da governatori, servitori delle istituzioni e non proprietari delle stesse, ma anche che tale condizione, l’essere l’Italia repubblica democratica, è resa possibile dal suo fondarsi sul lavoro. Da qui poi quanto si legge nell’art. 4 (“La Repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il diritto di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.”) in cui lo Stato si impegna nell’attuazione di tutte quelle iniziative indispensabili per permettere il lavoro e quindi il benessere non solo del singolo ma dell’intera collettività. Il lavoro come condizione minima dunque della libertà di ognuno di noi. Senza lavoro non si è infatti liberi, non si è autonomi nel giudizio, non si è critici. Si è solo subordinati a forze esterne, non sempre assistenziali o caritatevoli. Senza lavoro, specie in tornate elettorali, si diventa sudditi, questuanti ai vari cacicchi, ai vari capoelettori locali portatori dei famosi pacchetti di voti, un posto di lavoro. E se ci si affida a tali personalità, spesso dalle dubbie qualità morali oltre che politiche, ciò significa sia che lo Stato non è si mostrato in grado di realizzare uno dei suoi compiti fondamentali sia che è profondamente cambiato il nostro genoma, vivendo in un’oligarchia non democratica in cui i governatori, non servitori ma padroni delle istituzioni, perpetuano la loro condizione avvalendosi di forme palesi di voto di scambio. Per evitare o perlomeno limitare questa pratica (a riguardo una precisazione: parlando di ciò che accade a Liggiù non si è voluto sostenere, come detto da alcuni, che Lo Turre sia protagonista di tali atti; si è solo riportato ciò che tutti hanno potuto vedere ed ascoltare. Che poi a Liggiù sia presente il voto di scambio, cornice e non cuore della vicenda, è un altro discorso.) bisognerebbe avere tutti un lavoro dignitoso, essendo sempre valida la massima aristotelica del primum vivere deinde philosophari, del dover prima poter mangiare, e quindi vivere, per poter poi votare con libero giudizio candidati giusti, competenti nel creare lavoro e non nel far ottenere il posto di lavoro. Governatori che siano come la maestra montessoriana abili nel creare l’ambiente adatto per lo sviluppo della personalità dei singoli e non satrapi a cui tutto si deve senza nulla contestare.
Domenico Antonio Capone