Domenica 22 Dicembre 2024

In memoria del prof. Matteo Palumbo

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6 febbraio 2017

In memoria del prof. Matteo Palumbo

Gli Alunni del Corso A anni 1987/1992, Liceo Scientifico Galiei Manfredonia

Lo so che giunti al termine di questa nostra vita tutti noi ci ritroviamo a ricordare i bei momenti e dimenticare quelli meno belli, e ci ritroviamo a pensare al futuro cominciamo a preoccuparci e pensare “io che cosa farò, chissà dove sarò, da qui a dieci anni”. Però io vi dico, ecco guardate me, vi prego, non preoccupatevi tanto, perché a nessuno di noi è dato soggiornare tanto su questa terra. La vita ci sfugge via e se per caso sarete depressi, alzate lo sguardo al cielo d’estate con le stelle sparpagliate nella notte vellutata, quando una stella cadente sfreccerà nell’oscurità della notte col suo bagliore esprimete un desiderio e pensate a me. Fate che la vostra vita sia spettacolare.

(L’attimo fuggente)

 

Carpe diem, quam minimum credula postero. Cogli l’attimo e non confidare nelle sorti future.

Era il 1989 e noi eravamo in terza liceo scientifico. Avevamo da poco visto insieme al cinema il film L’attimo fuggente e il professor Matteo Palumbo accelerò un po’ il programma di letteratura latina per parlarci della poesia citata dal film prima che le intense emozioni suscitate svanissero. Eravamo degli adolescenti inquieti e con tanta voglia di salire anche noi sui banchi come i protagonisti del film. Palumbo lo capì e ci venne incontro, ma prima occorreva imparare la poesia di Orazio a memoria. Era sempre cosi con il professore: un continuo odi et amo. A venticinque anni di distanza diversi di noi ricordano ancora a memoria parti della poesia e con nostalgia rievocano quelle lezioni impegnative su WhatsApp. Qualcuno confessa di aver conservato i libri con gli appunti. C’è chi si commuove oggi al ricordo.

 

Per fare il salto verso il futuro occorre avere un punto d’appoggio dal quale spiccare. Quel punto era la conoscenza della nostra meravigliosa lingua e della tradizione letteraria che l’ha portata a compimento; l’abbiamo capito in seguito all’università, sul lavoro, all’estero. Eravamo entropici motu proprio, nella misura in cui potevano esserlo dei ragazzi di provincia che vedevano il proprio futuro fuori dal luogo di nascita. Orientati a conoscere maggiormente i testi delle canzoni in inglese, piuttosto che la letteratura, avevamo voglia di globalizzarci. Per fortuna e soprattutto per etica “qualcuno” ci ricordava che le alterne vicende degli uomini sono da millenni sovrapponibili e che l’onore consisteva nel credere in ciò che si faceva e nel farlo al meglio delle proprie forze. Era l’unico modo di evitare l’ignavia, la peggiore delle condizioni in cui vivere.  Per affrontare le fatiche future sarebbero occorsi sia la forma sia la substantia, sia l’eloquio sia la capacità di scrivere chiaramente concetti che potevano anche essere difficili, ma non difficilmente comunicabili se ci si applicava con esercizio e metodo. Le sfumature potevano contenere interi concetti e le virgole nascondere retropensieri ben celati e intriganti. Ora che molti di noi ex alunni sono diventati genitori e responsabili a loro volta di giovani menti e cuori, la gratitudine per quell’est modus in rebus accresce.

 

Il mondo nel corso del nostro triennio liceale dal 1989 al 1992 non stette alla finestra: nel 89 crollò il Muro di Berlino, nel 90 cominciò la prima guerra del Golfo, nel 91 Slovenia Croazia e Macedonia si separarono formalmente dalla Ex Yugoslavia, innescando la guerra indigena nei Balcani. L’Europa si dimostrava poco capace di essere portatrice di pace. Rinunciammo alla gita del quinto a Parigi nel 92 per il rischio attentati. Finimmo a Colico, nomen omen, su quel ramo del lago di Como che non volgeva più a mezzogiorno ma bensì alla Padania della Lega Nord, che proprio nei giorni della gita otteneva un risultato elettorale storico e strabiliante. Venimmo accolti in diverse occasioni con bandiere e sirene nel corso dei cinque giorni, si che all’epoca le targhe rappresentavano la provincia di immatricolazione dei pullman. Altre occasioni per parlare di politica, mai ex cattedra, le forniva il Presidente Cossiga, che “picconava” le istituzioni. Tuttavia non erano gli anni 70 bensì quelli del consumismo: le fantasie dei più inseguivano le notti magiche dei goal mondiali di Totò Schillaci a Italia 90.  A Foggia Zeman reinventava il gioco del calcio mentre dischi in vinile volavano sulle teste delle ragazze. C’era l’imbarazzo della scelta fra le rock band da seguire: Europe, Duran Duran, Cure, Spandau Ballet e gli U2, i vincitori sulla lunga distanza.

Erano delle fascinazioni cosi “evidenti” che spinsero 20.000 albanesi a sbarcare a Bari tutti insieme nell’estate successiva, quella del 91, mentre noi avevamo ancora freschi di studio Machiavelli e l’homo homini lupus. Se l’Italia poteva sembrare la terra promessa e del profitto, così non reputavamo la nostra città.  Manfredonia viveva una profonda fase di transizione: la nave dei veleni Deep Sea Carrier era stata allontanata a furor di popolo, ma lo scollamento irreversibile fra Enichem e città era all’apice. Diverse migliaia di persone lasciarono la città in quegli anni. Una nuova stagione molto controversa (e ancor oggi non del tutto risolta) cominciava. Gli effetti di questi sismi sociali divennero palesi solo dopo anni.

 

Tutta questa mole di eventi, fatti e accadimenti transitò nelle nostre vite, nelle emozioni e quindi nei temi d’italiano. Inconsciamente, ma inesorabilmente, le istanze personali si inchiostravano con le perplessità della Storia, globale, nazionale e locale. Eravamo i figli di un Sud in cerca di autore; non potevamo che consolidarci come individui e questo il professor Palumbo lo aveva intuito: oltre al nozionismo necessario e alla tradizione letteraria imprescindibile ci spinse con energia a strutturare il nostro proprio senso critico; il processo non fu indolore e richiese le migliori energie disponibili, ognuno per quanto poteva. Fu una formazione severa ma equa. Siamo sopravvissuti e siamo diventati più consapevoli dei nostri mezzi. Oggi si parlerebbe di resilienza, ieri era semplicemente cultura, la medesima capace di trasformare prima un bruto in un uomo erudito e poi di responsabilizzare l’erudito alla cura della res publica. E’ proprio in questa capacità di prendersi cura del prossimo e di difendere contemporaneamente le proprie convinzioni, ossia la capacità di essere coerenti, che permette all’uomo di ergersi a fronte alta. Come a dire che dopo l’aver imparato a pescare (conquista di per sé) è il condividere per concorrere al bene comune a fare la differenza.

Era questo il cursus honorum dell’intellettuale per il professor Palumbo. Si possono spiegare anche cosi la sua militanza civile, l’amore per la Comedia di Dante e la passione per la tradizione classica e medievale, dove positivo e negativo erano ben definiti e definibili.

 

Un ultimo ricordo è per la serva Italia ed è legato a doppio filo con una delle pagine più oscure e penose della storia d’Italia del secolo scorso: la strage di Capaci del maggio 92. Molti di noi rievocano ancora il silenzio dell’aula proiezioni al piano terra dove il professor Palumbo ci aveva portato per assistere ai funerali di Giovanni Falcone, di sua moglie e della sua scorta. Gli esami di maturità erano molto vicini e il programma didattico,  notoriamente, portava sempre ritardi. Non quel giorno, non in quelle ore: era altra e più alta la lezione da apprendere. Le parole della moglie di uno dei servitori dello Stato costringevano ognuno a rigettare l’ignavia mascherata da ineluttabilità della violenza. Ridiventammo spettatori in diretta della Storia d’Italia la settimana successiva quando si svolse il discorso del nuovo Presidente della Repubblica, Scalfaro. La nave senza nocchiere in gran tempesta era la medesima Italia, ferita e debole, che sarebbe diventata la nazione del nostro domani.

 

Caro professor Matteo Palumbo noi siamo qui a testimoniare e onorare il suo lavoro come insegnante. Abbiamo vissuto tempi affatto banali e abbiamo conservato parte degli insegnamenti. La salutiamo con la certezza che in quel carpe diem ritroveremo sempre la nostra giovinezza, la nostra esuberanza irrequieta e il nostro caro insegnante d’italiano.

 

Amoruso Gaetano, Manfredonia

Cannito Alessandra, Rimini

Catanese Giuseppe, Torino

Cellamare Alessandro, Torino

Conoscitore Antonella, Manfredonia

Del Vecchio Giovanni, Zapponeta

Di Bari Antonio, Milano

Di Candia Loredana, Frosinone

Eletto Rossella, Mattinata

Garofolo Giuliano, Teramo

Gatta Fortunata, Manfredonia

Gatta Giuseppe, Montpellier

Guerra Monica, Manfredonia

Lezzi Tamara, Torino

Marino Roberto, Roma

Marasco Giustina, Manfredonia

Mastrodomenico Gerardo, Roma

Messina Vincenzo, Treviso

Nota Antonio, Ginevra

Paolantonio Vincenza, Firenze

Renzullo Angela, Manfredonia

Ricucci Leonardo, Manfredonia

Rizzi Alessandro, Manfredonia

Santoro Natalizia, Firenze

Starace Luigi, Manfredonia

Troiano Fausta, Novara

Vaira Alessandro, Conversano

Vairo Donato, Shenzhen

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