Giovedì 21 Novembre 2024

La Pietà della “Cappella della Maddalena”

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(L’influsso della pittura veneta di Giovanni Bellini sulla Pietà Sipontina)
L’antico abside della chiesa di S. Domenico, detto anche “Cappella della Maddalena”, venne scoperto casualmente nel 1895. Da una lettera inviata dal Sindaco della città, il dott. Pietro Guerra, al Direttore dei monumenti artistici del Ministero della Pubblica Istruzione in data 29 novembre 1895, apprendiamo che il 15 dello stesso mese la cappella venne individuata dal custode delle carceri, allora dislocate nel complesso dell’edificio, che aveva l’abitazione in locali adiacenti. Nell’effettuare lavori di scavo in un’aiuola annessa alla sua abitazione, “scorse la cima di un arco gotico, dal quale scavando la terra, venne fuori una nicchia con l’effige del Cristo morto nel punto in cui la Maddalena lo pose nel sepolcro”. Il nome “Cappella della Maddalena” verrà attribuito al primitivo abside di San Domenico dallo stesso Sindaco Guerra. Il dottor Guerra ritenne di interpretare nella figura femminile che sorregge il corpo di Gesù morto, la Maddalena. Dall’analisi iconografico-simbolica, tuttavia, è evidente che la figura femminile che sorregge Cristo morto è Maria, la Madre di Gesù, e non certamente Maria di Magdala. Infatti la Vergine Maria è sempre raffigurata avvolta nel maphorion, il tipico velo che, nell’area siro-palestinese, le donne sposate portavano sul capo e sulle spalle quando erano in pubblico. Diversa è la rappresentazione iconografica della Maddalena, che viene raffigurata priva del maphorion. L’affresco della Pietà nella “Cappella della Maddalena” (Fig.1) è stato realizzato, con molta probabilità, da un pittore proveniente dalla Repubblica di Venezia, in quanto è possibile rilevarvi un chiaro riferimento alla pittura veneta di Giovanni Bellini, detto Giambellino. È evidente che l’anonimo pittore è stato influenzato da uno dei capolavori del Bellini, vale a dire la “Pietà di Brera” (1460-1465) (Fig.2). In questa opera vediamo la Vergine accostare con tenerezza le proprie guance a quelle del Figlio morto. Un medesimo atteggiamento lo si vede nella Pietà sipontina. Altro riferimento dell’anonimo pittore della nostra Pietà ai modelli veneziani è sicuramente costituito dalla precedente tempera su tavola del Bellini, l’ “Imago Pietatis”, del museo Poldi-Pezzoli, databile al 1457 circa. In questo quadro la posa di Cristo morto, ritto nel sepolcro e con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sul ventre, si rifà all’ Akra Tapeinosis, di chiara ispirazione bizantina e nota in Occidente con il nome di Imago Pietatis o Vir Dolorum. L’anonimo pittore è giunto probabilmente in Manfredonia quando la città fu data in pegno dal re Ferdinando I di Napoli alla Repubblica di Venezia: “Il Re vedendosi mal ridotto, e bisognoso di monete, impegnò Manfredonia a’ Venetiani”. È ovvio immaginare che, con l’arrivo dei Veneziani, sia giunto al loro seguito anche l’artista autore della Pietà dell’abside di San Domenico. Ecco quindi che l’evento storico del dominio veneziano sulla città ci permette di giustificare ulteriormente l’influsso della bottega del Giambellino sulla nostra Pietà. Il pittore autore della Pietà della Cappella della Maddalena ha preso come punto di riferimento il corpo del Cristo morto dell’ “Imago Pietatis” del museo Poldi-Pezzoli, con le braccia incrociate sul ventre ed inserito nel sepolcro. La Madonna che pone le guance su quelle del Figlio è chiaramente ispirata alla Pietà di Brera, sempre del Bellini: Maria ha la stessa identica posizione e inclinazione del viso rispetto al corpo e al viso di Gesù della nostra Madonna della Cappella della Maddalena. Gli influssi belliniani sono circoscritti all’ambito compositivo delle immagini e non certamente alla resa realistica dei soggetti raffigurati e alla raffinata esecuzione dei particolari, mancanti nella nostra Pietà sipontina. Bisogna però tener presente che la tecnica dell’affresco, per la sua veloce modalità esecutiva senza ritocchi o sovrapposizioni, non permette un’accurata resa dei particolari come la tempera su tavola, dove è possibile sovrapporre e rifinire a tratteggio finissimo l’opera. Inoltre i guasti del tempo, insidia propria di ogni affresco, non ci permettono di ammirare l’opera come si presentava in origine.

Michele Di Lauro

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