IL RISCHIO SUBITO E IL RISCHIO PERCEPITO
Prima di raccontare il mio vissuto nelle lotte dell’88 voglio fare una premessa di ordine psicologico. Nei disastri ambientali il rischio vero subìto dalla persona e il rischio percepito dalla stessa si uniscono amplificando l’effetto del trauma .Quindi anche il percepito può dare la malattia. In teoria tutti i cittadini dovrebbero essere sotto osservazione , dopo un incidente ambientale. Questo principio l’ho appreso partecipando dal 2015 allo studio epidemiologico sullo stato di salute dei cittadini di Manfredonia . Attraverso questo studio ho avuto la possibilità non solo di conoscere le malattie del territorio , ma anche darmi una risposta ad una mia difficile ed antica domanda: perché mi sono impegnata cosi profondamente nella vicenda Enichem? Oggi ho la risposta : il mio impegno civile nelle lotte dell’88 è dipeso soprattutto dal mio personale modo di percepire i disastri ambientali . Ho reagito con l’attivismo perché volevo salvarmi a tutti i costi.
Infatti nel ’76 ero a Lissone, un paese vicino Seveso, quando scoppiò l’Icmesa con fuoriuscita di diossina e pur non avendo subito un danno fisico fui molto turbata e preoccupata per tanto tempo. Il 26 settembre dello stesso anno nella nostra città scoppiò la colonna dell’arsenico, i primi giorni non circolò la verità e non mi allarmai molto . Appena però appresi la gravità dell’accaduto scattò di nuovo in me la paura per un senso di persecuzione da disastro ambientale. Nel ’77 mi trasferii a Manfredonia e nel ’78 il giorno della fuoriuscita dell’ammoniaca passeggiavo tranquillamente per il corso principale con mio marito e la mia bambina di appena un anno, quando avvertimmo un odore irrespirabile. Di colpo una fiumana di gente impaurita e presa dal panico ci travolse alle spalle con un effetto terremoto. Io, mio marito e la bambina ci perdemmo di vista: ero sola e terrorizzata, incanalata nella folla senza via d’uscita, ho avuto il sentore della morte per soffocamento. Dopo molte ore mi ritrovai sulla statale verso Siponto dove rividi i miei cari. Anche in questo caso il disagio interiore mi accompagnò per molto tempo, pur non avendo subito danni fisici.
Nell’88 con l’arrivo della nave dei veleni decisi d’impegnarmi nella salvaguardia del territorio con tutte le mie forze: dovevo difendere me , i miei bambini e la mia famiglia a tutti i costi, inoltre ero stanca di sentirmi una perseguitata dai disastri ambientali.Volevo vivere in un ambiente sano. Allora incontrai le donne in piazza e partecipai attivamente a tutte le iniziative: occupazione del Comune, marcia verso l’Enichem, partecipazione comitato cittadino, movimento cittadino donne, sit-in vari, riunioni nelle tende, viaggio a Roma al Parlamento, a Strasburgo al Parlamento ed infine di nuovo a Strasburgo alla Corte di Giustizia Europea nel ’97 per mettere alla sbarra lo Stato Italiano , inerte nel risolvere il nostro problema. Infatti io non avevo alcuna fiducia della giustizia italiana. L’Enichem era dello Stato e lo Stato non poteva punire se stesso. Infine volevo dare un’adeguata risposta al giornalista Giorgio Bocca che a livello nazionale ci aveva definiti incivili : ed ecco con la sentenza del ’98 dimostrammo cosa sapevano fare le cittadine incivili di Manfredonia. Invece cosa sapeva lui dei nostri traumi subiti e percepiti? Ecco come noi donne siamo arrivate alla Corte di Giustizia . Nell’88 si presentò per me una grande occasione: un convegno a Pescara dove si parlava di “Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo”. Partecipai ed ebbi modo di esporre il caso Manfredonia al commissario relatore chiedendo di aiutarci. Era impossibile, disse, sia perché non c’era giurisprudenza in campo ambientale a livello europeo e sia perché bisognava fare tutti i gradi di giudizio nel proprio Stato . Persi la speranza e sbiancai in volto. La Divina Provvidenza però illuminò il commissario, c’era una piccola possibilità per far riflettere la Commissione dei Diritti dell’Uomo : esporre il problema non come Città, ma come mamme che volevano proteggere la propria prole dall’inquinamento.
Questa strategia forse ci avrebbe permesso di saltare la giustizia italiana. Tornata a casa approntai subito la lettera dal punto di vista delle donne e la sera mi recai in piazza. Ricordo che era ancora montato il grande palco della trasmissione Samarcanda. Salii sul palco e dissi alle donne che avevo trovato una nuova strada per la nostra causa. Lessi la lettera e 3000 donne la firmarono (girai anche porta a porta per il consenso ). Cosi iniziai il percorso a Strasburgo durato dall’88 al ’98 e fu una VITTORIA: le donne hanno avuto ragione (vedi sentenza sul sito www. ambientesalutemanfredonia.it sezione archivio). Il mio compito in quegli anni fu di aggiornare e stimolare la Commissione attraverso l’invio continuo di documenti, rassegna stampa, relazioni e lettere . Nel ‘98 fummo difese da una giovane giurista, appena laureata, contro tre avvocati dello Stato italiano , di fronte a noi c’erano 21 giudici europei. Nel mio immaginario fu come vedere l’impresa di Davide e Golia. Abbiamo vinto per l’art.8 della Convenzione. La nostra sentenza a livello europeo ha fatto da apripista in campo ambientale e oggi si è evoluta in maniera più granitica.
Sempre nel ‘98 circa venti firmatarie del ricorso a Strasburgo fondarono l’associazione Bianca Lancia e contemporaneamente, quasi come un fulmine, sul territorio s’insediò il Contratto d’Area , con tante industrie di cui molte inquinanti (era già compreso l’Isosar oggi chiamato Energas ) questo fu il risarcimento al territorio ,inquinamento su inquinamento. Purtroppo dovevamo ricominciare a lavorare. Per questa ragione noi donne affrontammo ancora una volta un forte impegno sociale e culturale( al limite dello stress) per fare informazione alla città e sensibilizzare i politici. Spendemmo moltissimi soldi in questa direzione, ma fummo Cassandre inascoltate. Dal 2015 si è ripresentato il pericolo del mega deposito Energas , di nuovo il territorio è sotto attacco . “Al peggio sembra non esserci mai fine “ ( come dice Gianni Lannes –Su la testa 23/6/15). Infatti Energas ( 300 kilotoni in caso di scoppio) è superiore alla bomba atomica di Hiroshima (13,5 kilotoni) . Perciò il 6/11/ 15 con tanta paura nel cuore , ma con altrettanta determinazione , ho scritto una lettera aperta al Sindaco (vedi internet “Anna Guerra- Energas e il sogno di re Manfredi) per invitarlo a guidare il popolo nella protesta cittadina contro il nuovo-vecchio mostro del gas e vincere come al tempo della nave dei veleni. La sola informazione alla città o le iniziative burocratiche sono insufficienti (come la storia passata ci ha insegnato ) in quanto ci sono molte connivenze nei Ministeri . Occorre necessariamente uno sciopero generale e una manifestazione pubblica . Oggi alla luce di queste riflessioni penso che forse tutte le mie malattie croniche sono dipese anche dai miei risentiti ambientali. Perciò è importantissimo il presidio di un osservatorio ambientale , almeno in questo lo Stato deve risarcirci . Infine credo fermamente che “questa città non merita altri oltraggi al suo patrimonio e alla sua dignità”.
Hai ragione pasquel..vedi a volte un sipontino vale un panettone..
questo siamo noi e chi ci dovrebbe guidare nella lotta fa il doppio gioco, stanno giocando loro una grandissima commedia sotto tutti falsi tranne qualcuno.
Noto molta sensibilità da parte dei manfredoniani a questo problema tanto che non ha ispirato alcun commento in merito, coraggio e continui la sua battaglia, pur essendo manfredoniano non risiedo a Manfredonia, come tanti,altrimenti sarei a lottare a suo fianco per dire Basta a considerare il nostro territorio “terra maledetta” dove tutto è concesso.