Natale Penati si ispirò liberamente ad un famoso quadro di Pier Leone Ghezzi.
E’ la tesi alquanto suggestiva di Francesco Granatiero.
Cattedrale di Manfredonia. Davanti all’altare maggiore, sono in contemplazione dei dipinti che riempiono di sacralità l’atmosfera, attraversata dalla presenza quasi tattile del genio artistico del pittore Natale Penati da Milano (1884-1955). Le grandi opere che abbracciano il Presbiterio (L’arrivo di S. Lorenzo a Siponto con il quadro della Madonna, L’incontro di S. Lorenzo con Re Totila e L’apparizione a San Lorenzo di San Michele Arcangelo) rappresentano tre importanti episodi della vicenda storica di San Lorenzo Maiorano, che si conclude con il suo trionfo in cielo, rappresentato dal dipinto presente nella volta centrale della navata. Il pensiero vaga e si lascia trasportare dalle emozioni che in me scaturiscono quando mi soffermo su quel dipinto capolavoro realizzato sulla parete centrale del presbiterio. Raffigura l’arrivo di San Lorenzo a Siponto con il quadro della Madonna, accolto dal popolo orante e festante. In pochi metri quadrati di parete vi è, dunque, la raffigurazione della ben nota vicenda storico-leggendaria inerente il vescovo sipontino (vissuto tra V-VI secolo) che fu Pastore e guida sicura per il suo popolo e capace di portare la parola del Vangelo in tutto il territorio del Gargano. Il dipinto raffigura, in una composita armonia di figure, sfondi e colori, un significativo atto di culto celebrato dalla Chiesa: la processione devozionale. Da sempre espressione di viva fede popolare, il culto processionale è presente nella storia dell’umanità sin dal tempo degli egizi, dei greci e dei romani, anche se solo con l’avvento del cristianesimo assumerà connotati ben precisi. Molti pittori, nel corso dei secoli, hanno voluto rappresentare questo avvenimento ed anche Natale Penati, seguendo il suggerimento di Mons. Andrea Cesarano (che nel 1941, epoca del dipinto, presiedeva la sede arcivescovile di Manfredonia), raffigura il Santo Patrono in processione, mentre dal porto (ove era giunto da Costantinopoli) si dirige verso la città di Siponto, sua sede vescovile. Queste mie riflessioni prendono corpo e mi appassionano ancora di più se penso alla singolare circostanza che ho di recente vissuto, quando mi sono incontrato con l’amico Francesco Granatiero di Manfredonia, apprezzato caricaturista e illustratore, nonché esperto di Storia della Satira. Non a caso, dal luglio 2014 è fra i collaboratori della più importante rivista satirica italiana “Buduàr – Almanacco dell’arte leggera” diretta da Dino Aloi e Alessandro Prevosto. Francesco, infatti, mi ha reso partecipe di una propria interessante scoperta, frutto del suo non comune spirito di osservazione, nonché della sua viva passione di ricercatore storico. Durante alcuni suoi studi riguardanti i più importanti caricaturisti dei secoli scorsi, viene a conoscenza della vita e delle opere di Pier Leone Ghezzi (Roma, 1674-1755), artista eclettico e raffinato, pittore con eccellenti doti di disegnatore umoristico. Vissuto all’epoca di Papa Clemente XI e Papa Benedetto XIII (Vincenzo Maria Orsini, già arcivescovo di Manfredonia), ha frequentato i più importanti ambienti ecclesiastici ed aristocratici del tempo, dove venne apprezzato per le sue opere di elevata qualità artistica. Nell’analizzare le opere del Ghezzi, l’amico Granatiero si sofferma, in particolare, sulla riproduzione di un quadro che attira subito la sua attenzione. Si tratta di un bellissimo olio su tela (cm. 177 x 248), tuttora conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche in Urbino, eseguito intorno al 1715 raffigurante “Clemente XI segue la processione del Corpus Domini in piazza San Pietro” . Tale opera, rimanda immediatamente la mente di Francesco al dipinto della navata centrale della Cattedrale di Manfredonia, raffigurazione pittorica che egli da sempre conosce e che, con la sua imponenza, copre una superficie murale di 34 mq. Mi fa subito presente che, a suo giudizio, molteplici sono gli elementi in comune che si ritrovano nelle due opere e che, quasi certamente, il Penati aveva potuto ammirare e studiare il quadro del Ghezzi, subendone l’influsso artistico in modo determinante, vista anche la predilezione dell’artista milanese per la pittura del ‘600 e del ‘700. Ad onor del vero, la rappresentazione pittorica del culto delle processioni ci rimanda ad altri eccellenti pittori del XVI e XVII secolo, ai quali a sua volta sia il Ghezzi che il Penati si saranno senz’altro ispirati, e di essi ne ricordiamo almeno tre:Gentile Bellini (Venezia 1429 – 1507) con la tempera su tela “La Processione in piazza San Marco”del 1496;Cesare Nebbia (Orvieto, 1536 – 1614) con l’affresco “San Carlo porta in processione la croce con la reliquia del Santo Chiodo”del 1603-1604;Gian Battista della Rovere, detto il Fiammenghino (Milano, 1560 – 1627) con l’olio su tela “San Carlo porta in processione la croce con la reliquia del Santo Chiodo” del 1602. Anch’io vengo affascinato da questa scoperta, e ponendo a confronto i due dipinti devo osservare che si possono davvero rilevare alcuni elementi comuni tra di loro (ne cito solo tre: il baldacchino, i due personaggi in primo piano, gli sfondi), senza nulla togliere alla singolarità delle opere che differiscono notevolmente fra di loro (come pure da quelle degli artisti appena citati), per ovvi motivi storici, iconografici e stilistici. Si potrebbe quindi dire, parafrasando un motto latino, che “opera ex operibusfiunt”ovvero “le opere provengono da altre opere”, anche se è bene ricordare che ogni opera è un “unicum”, meritevole di rispetto ed ammirazione. Infatti, nei due dipinti, si apprezzano le pennellate morbide, fluide e trasparenti, nonché i tanti tocchi chiari e luminosi, con il sapiente utilizzo di raffinate tecniche pittoriche, che conferiscono ad entrambi i dipinti un elevato valore storico-artistico. Le opere dei “veri” pittori si distinguono fra di loro perché esse sono il frutto di emozioni vive e pulsanti. Emozioni, dunque, vissute e interiorizzate dall’artista. Emozioni che si fondono e sublimano. Emozioni che portano, alfine, alla realizzazione del cosiddetto “capolavoro d’arte”. Natale Penati è stato un pittore dallo stile “trasparente” che sapeva dialogare con il mondo attraverso i suoi dipinti e che realizzava opere d’arte cariche di grande forza espressiva. Egli era solito dire ai suoi collaboratori: “Per imparare l’arte della pittura bisogna amarla. Tu devi avere amore per il lavoro. Devi vivere dentro di te l’opera che stai realizzando”. Il Ghezzi, invece, è stato un artista dallo spirito arguto e disincantato (per questo fu anche un eccellente caricaturista), peculiarità costante della sua personalità, come dimostra la lunga iscrizione in versi (di mano del pittore) posta sul verso della tela di un suo autoritratto: “Pier Leone son io / di casa Ghezzi che dì 28 giugno / Quando al mille e seicento / Anni settanta quattro ancor / s’aggiunse io nacqui e si congiunse / A questi l’età mia di vent’ott’anni / Ch’ora nel mille settecentoedue / Mi mostra il tempo, e le misure sue / or mentre questo fugge e mai s’arresta/ Io mi rido di lui e mi riscatto / Col dar perpetua vita al mio ritratto“. Al termine di queste brevi riflessioni sui due dipinti del Ghezzi e del Penati, ci sembra di poter concludere che la tesi formulata risulta alquanto suggestiva, e sarebbe auspicabile che venisse ulteriormente an
alizzata ed approfondita da chiunque, appassionato alla storia della propria città, voglia dare il proprio contributo al “ponere quaestionem” di Francesco Granatiero.
Dott. Roberto Penati
Nipote del pittore Natale Penati da Milano
Milano, 23settembre 2015