Giovedì 21 Novembre 2024

GENDER A SCUOLA. Si o No? di Michele Illiceto*

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La scuola è appena cominciata e una delle questioni che essa è chiamato ad affrontare è “questione del gender”. E’ inutile dire che si tratta di un argomento alquanto complesso, in quanto essa chiama in causa diverse questioni che abbracciano, a vario modo, la psicologia e la pedagogia, la filosofia e l’antropologia culturale, la teologia e la giurisprudenza. Per tale ragione penso che sia poco corretto esprimersi su di essa senza prima averla conosciuta nella sua totalità, così da poter rendersi conto di che cosa è veramente e delle conseguenze che ne possono scaturire.

Certo non è questo breve articolo il luogo in cui discutere le questioni filosofiche e le argomentazioni teoriche che stanno dietro la teoria del gender. Penso che la prima cosa da fare, per affrontare correttamente queste tematiche, sia quello di superare posizioni preconcette e barricate ideologiche, sia da parte di chi è contrario sia da parte di chi è a favore in modo troppo semplicistico. Quello che è necessario in questo momento è un’educazione delle coscienze e un esercizio di vera intelligenza, oltre che di saggezza pedagogica, una maggiore apertura alla comprensione della realtà, attraverso una corretta informazione e formazione culturale, così da poter assumere una posizione di dialogo e di reciproco rispetto.

Una cosa a mio parere è comunque certa: la questione del gender non può essere ridotta all’ideologia gender: la prima porta in sé alcune istanze che meritano di essere seriamente considerate dal punto filosofico e psicologico ( e che in queste righe non c’è spazio per farlo). Il secondo punto presenta qualche perplessità.

Infatti, esso esige che si faccia chiarezza circa l’affermazione che, secondo alcuni, la legge sulla “buona scuola” di Renzi vorrebbe introdurre nella scuola italiana i principi fondativi della “teoria del gender”, rendendo obbligatorie, a partire già nelle scuole primarie, l’adozione di testi e la diffusione di metodi educativi ad essa ispirati.

A mio parere ciò non ha alcun fondamento. Tutto dipende da come si legge il comma 16 dell’art. 1 della legge 107/2015 in questione, dove si legge:

«Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93».

Mi pare quindi che la finalità sia quella di organizzare percorsi di “educazione all’affettività” in modo da aiutare tutti a crescere nel rispetto della diversità senza pregiudizi e senza emarginazione, per evitare casi di omofobia. Lo scopo è quello di promuovere tutte quelle iniziative finalizzate alla prevenzione di ogni tipo di violenza e discriminazione, con particolare riferimento specifico al tema della discriminazione sessuale, dell’omofobia, in ottemperanza ai trattati internazionali e alle convenzioni, in particolare a quella di Istanbul che è stata ratificata due anni fa dal Parlamento della Repubblica. Con tutto questo la teoria del gender non ha nulla a che fare. Questo non vuol dire che non la si debba studiare come “teoria”. Il sottoscritto, infatti, insegnando filosofia in un liceo classico, la fa studiare come fa studiare il marxismo, l’ateismo, il positivismo, l’esistenzialismo o lo strutturalismo. Ma entra come “teoria” e non come “ideologia”. E poi la affronto in un’età dove i ragazzi hanno sviluppato un alto senso critico proprio del filosofare.

Quello che bisogna organizzare nelle scuole sono quelle iniziative volte a contrastare la discriminazione e la violenza sessuale e di genere, cercare di fare prevenzione per contrastare il bullismo e il cyberbullismo, incluso il caso dell’omofobia, per dare appunto alle scuole una cornice pedagogica di rispetto della persona e della sua dignità. Allo stesso tempo si tratta di cercare di accompagnare i bambini, i ragazzi e i giovani nella formazione della loro identità psicosessuale, la quale non può fare a meno di adulti capaci a condurli in tale difficile e complesso processo.

Collegato a tutto questo calderone di questioni va sottolineato il ruolo delle famiglie. Infatti il Miur ha diffuso una circolare (n. 4321 del 6 luglio 2015) che richiama il «corretto utilizzo degli strumenti normativi già esistenti per assicurare la massima informazione alle famiglie su tutte le attività previste dal piano dell’offerta formativa, inclusi i principi richiamati nel comma 16, richiedendo un costante e sempre più marcato coinvolgimento delle famiglie nell’ottica della corresponsabilità educativa». Questo significa che è necessario favorire un coinvolgimento più consapevole e responsabile delle famiglie nella scelta dell’indirizzo educativo per i loro figli.

La scuola insieme alla famiglia deve essere un luogo di formazione integrale della persona. Proprio per tale ragione deve essere esclusa ogni forma di strumentalizzazione ideologica, e invece accogliere tutte quellle potenzialità e risorse che hanno come finalità il benessere psicologico, sociale e morale delle future generazioni.

 

 

*Docente di filosofia presso la Facoltà Teologica di Bari e presso il Liceo Classico “A. Moro” di Manfredonia

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  • sono i genitori che devono impartire l’èducazione hai figli non certo la scuola

    no gas no party 20/09/2015 21:14 Rispondi
  • Come sempre Michele Illiceto illustra una problematica complessa in modo chiaro ed efficace. Grazie Michele!

    censore 20/09/2015 17:06 Rispondi

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