Giusy aveva appena 15 anni quando – all’alba del 13 novembre 2004 – fu trovata senza vita, con i pantaloni calati e con il viso e la testa fracassata da grossi massi, sulla scogliera sipontina. La sua scomparsa era stata denunciata dai genitori la sera precedente: dopo essere uscita per una commissione, la ragazza non aveva più fatto rientro a casa.
Il corpo della ragazzina fu trovato il giorno dopo nei pressi di una scogliera, a poca distanza dall’ex Enichem. Giusy aveva la testa fracassata.
Un omicidio brutale, di inaudita violenza per il quale, il 23 dicembre dello stesso anno, fu arrestato il cugino di secondo grado, Giovanni Potenza, all’epoca dei fatti 27enne, che confessò il delitto e fu condannato a 30 anni di reclusione. Secondo la ricostruzione, basata anche sulle dichiarazioni del reo confesso, l’uomo aveva una relazione con la ragazzina e quel 12 novembre di 20 anni fa i due si appartarono in auto in quella zona. Poi iniziarono a litigare perché Giusy minacciò di voler rivelare alla moglie di Giovanni la loro relazione.
Durante il litigio la ragazza uscì dall’auto e cadde dalla scogliera: l’uomo la soccorse, riportandola sulla scogliera ma la ragazza, nonostante fosse ferita, continuò a minacciarlo. Allora Giovanni Potenza la colpì al volto con una pietra uccidendola. Il 24 ottobre del 2005 la mamma di Giusy, Grazia che non si era mai ripresa da quella perdita, si uccise impiccandosi nel cortile della sua abitazione. Morto anche il piccolo che, da sette mesi, portava in grembo.