Domenica 22 Dicembre 2024

Comincia oggi la novena in onore della nostra amata Patrona

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Un omaggio storico-culturale ad apertura della Novena a cura di don Leonardo Petrangelo

Il 22 agosto inizia la Novena che prepara i cuori dei sipontini alla Festa della Madre Maria Santissima di Siponto. Negli anni passati, in questo giorno, era tradizione andare in processione verso la “casa della Mamma”, la Basilica di Siponto, per prendere l’icona e accompagnarla in Cattedrale con canti e preghiere.

Questa tradizione oggi non è più in auge, ma il Comitato vuole omaggiare tale ricordo, unitamente al desiderio di valorizzare sempre la nostra Basilica, con un contributo di carattere storico che narra dei custodi e degli eremiti della preziosa Basilica di Siponto. Ringraziamo don Leonardo Petrangelo per questo prezioso omaggio, un lavoro certosino di ricerca storica. Don Leonardo è stato Rettore della Basilica di Siponto dal Settembre 2021 al Settembre 2023, attualmente è parroco della Parrocchia San Camillo de Lellis. Il 29 Agosto prossimo sarà immesso tra i nuovi Canonici del Capitolo Sipontino e questa sera, insieme alla sua comunità parrocchiale, aprirà la Novena in Cattedrale con la celebrazione eucaristica.

EREMITI E LAICI, CUSTODI DELLA BASILICA

Camminare nel silenzio mistico della Basilica di Siponto è vivere sospesi tra passato e presente su di una sola coordinata: la plurisecolare icona della Beata Vergine di Siponto. Uomini e donne di ogni tempo hanno gravitato su di lei e rivivono nei tanti nomi graffiti o incisi in svariati angoli della Basilica, testimoniando la sua continua, efficace protezione per i sipontini. Ne leggo uno in particolare quasi nascosto: FRA NICOLO CARACCIOLO EREMITO DELLA MADONNA DI SIPONTO 1774, in una elegante      cornice a doppia linea, tra la colonna stilofora sinistra e la facciata, quasi all’altezza di chi entra. Di lui non sappiamo nient’altro. E forse mai avremmo saputo se non avesse inciso sulla pietra il suo nome, preso sicuramente più da santo orgoglio che da umana vanità. Fra Nicolò Caracciolo è stato un eremita ed ha così vissuto il suo servizio di custodia alla casa della Madonna di Siponto. E certamente non è stato il solo. La vita e la vocazione eremitica in Siponto è antica, ed ha in S. Eusanio il primo testimone già dal sec. III, in una grotta verso la montagna. Un affresco in cripta della Crocifissione fra due anacoreti, poi, di cui uno è chiaramente S. Onofrio, fa pensare che almeno dal 1590 (data del dipinto) la presenza eremitica costituisca stabilmente un servizio di lode e di vigilanza in Basilica. L’Appendix Synodi orsiniana dedica agli eremiti il titulus XLIV Regole per li Romiti (pp. 334-335) che sostanzialmente ripropongono ‘per lo spirituale e temporale governo’ quanto già stabilito dal precedente sinodo di mons. Puccinelli il 30 aprile 1656. Si constata che ‘eccedono regolarmente in questa Diocesi in numero di 50’ (53 per la precisione) e si ritrovano sagristi e custodi in altre chiese, secondo gli Atti delle visite pastorali  orsiniane. Li distingue dai laici un ‘sacco’ che servirà come veste religiosa propria, concessa con licenza dall’arcivescovo ed abito ufficiale di riconoscimento nella raccolta delle elemosine di cui vivrà (regg. 1 e 4). La povertà assoluta come regime di vita è espressa con il non avere nessun possesso, ma di servirsi di tutto ciò che trova nell’eremo affidatogli (regg. 2-3-6). L’agricoltura era concessa con licenza arcivescovile per il loro personale sostentamento, ma se i frutti della terra e degli alberi fossero stati in eccesso, la loro vendita sarebbe dovuta avvenire concordando un prezzo onesto con lo stesso arcivescovo (reg. 5). La loro vita spirituale è invece così organizzata: “una volta al mese frequenteranno i Sacramenti della Penitenza, e della Santissima Eucaristia, con trasmettere a noi, o portar la fede di ciò, sotto pena di carcere (ecclesiastico) per un mese” (reg. 9). Nel convenire “in luogo, ed’hora da destinarsi”, due volte la settimana, si disporranno “alle Laudi divine, lezzioni di libri spirituali, e conferenze di cose celesti” (reg. 10). La stabilità fisica in un dato eremo è in vista di una stabilità del cuore, per questo la reg. 8 prescriveva: “non frequentino spesso la Città, e le Terre; se non quanto a loro sarà necessario, e non pernottino fuori dal Romitorio senza nostra licenza”. Interessante è la reg. 7: vivendo in luoghi solitari o lontani dall’abitato è fatto loro obbligo di non “conversare, o praticare con ladri, fuoriusciti, o gente facinorosa, né dare a quelli ricetto, sotto pena di carcere (ecclesiastico), ed altro, a nostro arbitrio”. Sarà stato forse per uno di questi motivi o lite di vicinato che un eremita rimasto anonimo della Chiesa di Siponto (non vorremmo sia stato proprio il nostro fra Nicolò Caracciolo) venne purtroppo ucciso con una schioppettata di notte qualche giorno prima del 9 aprile 1790. La notizia è riportata nella deposizione di due testimoni presso il notaio L. Prencipe[1], a discolpa di “Vito de Marinis Mastro Muratore di questa sudetta Città”, presunto assassino. I coniugi Giuseppe Mondelli e Giuseppina Giardinelli attestano che “la sera avanti che succedè la schioppettata all’Eremita di Siponto il mastro Vito si trattenne nella di loro casa fino alle ore due e mezza della notte in occasione di conteggiare alcune fatiche fatte, e che doveva ancora compiere alla di loro vignola vicino Siponto. La mattina poi giorno di Sabato che si portavano a proseguire li Sabato alla Beatissima Vergine di Siponto ben per tempo giunto fuori la Porta di questa Città, intesero, essi costituiti, che detto Eremita la notte aveva ricevuta la sudetta schioppettata”. Vogliamo comunque immaginare i nostri eremiti profondamente oranti nella cripta, quasi chini a terra nell’intercessione per i tanti benefattori che si affidavano alla loro preghiera, al ritorno – su dorso d’asino – dalla cerca dell’elemosina, così come li ha disegnati Richard de Saint-Non fra il 1781 e il 1786 nel suo Voyage pittoresque ou description des Royaume de Naples et de Sicilie. Da queste immagini si vedono benissimo le casupole eremitiche accanto alla basiliche. Quella sopra la sacrestia è stata costruita nel 1675 e vi si accede dall’esterno, per mezzo di una scalinata addossata: da quella cella eremitica, per mezzo di una feritoia nella volta laterale ancora esistente, potevano guardare se le lampade si fossero spente oppure comprendere se un eventuale rumore fosse dovuto all’ingresso di ladri. Due eremiti vengono appena citati in Stanislao D’Aloè, quando narra dei lavori di consolidamento per danni alla Chiesa, dovuto al terremoto del 6 dicembre 1875. “I manovali si servirono dell’acqua dell’unica cisterna che sta a 30 palmi dalla basilica, addetta a solo uso de’ due romiti custodi di essa”. Ormai svuotata e pulita dal fango, si scoprì il pilastrino del presunto tempio di Diana. Forse l’ultimo eremita sarà stato “un uomo custode della Chiesa e che vive in una stanzetta” da Wachernagel nel 1910-1911, come ricorda in Die plastik des XI und XII jahrhunderst in Apulien. Alla sua morte segue un periodo di abbandono e di vuoto. In due documenti della Sovrintendenza (30 novembre 1921), il Ministro dell’Istruzione invia il prof. Federico Hermanin perché visiti la Chiesa di Siponto e ragguagli sull’icona e la Sipontina: “La S.V. è pregata di riferire altresì sulle condizioni di sicurezza della statua e degli altri oggetti d’arte conservati nel vetusto Tempio di Siponto, condizioni che pare lascino molto a desiderare, se è vero che la chiesa, perduta fra le paludi, a tre chilometri da Manfredonia, non ha nemmeno un sacrestano che la vigili […]”. Effettivamente il prof. Hermanin scriverà: “[…] Come ho già detto per la preziosa tavola colla Vergine e il Bambino che si conserva nella Chiesa superiore di S. Maria di Siponto, le opere d’arte, abbandonate senza custodi di giorno e di notte, corrono pericolo gravissimo di essere trafugate […]”.

I SAGRISTI LAICI E CUSTODI

Alla minaccia di provvedere ad un guardiano per la Chiesa di Siponto, da parte del Ministero, pena il trasferimento preventivo e cautelativo della Sipontina e dell’icona, in musei statali, il Capitolo Metropolitano reperisce il primo custode laico e sacrista: nella persona di Giuseppe Lauriola. Il suo nome lo desumiamo dal Verbale per il trasporto dell’icona a Roma per i restauri, datato 27 ottobre 1927, che non poté firmare perché analfabeta, ma ricco di coraggio sicuramente. Sei anni prima, all’indomani di quel 1921, per noi anno da prendere in considerazione come inizio del suo servizio: “Il 30 ottobre 1922 – ricorda Michele Magno in Lotte sociali e politiche pp. 93-94 – squadriglie fasciste hanno occupato la sede della camera del lavoro, al corso Manfredi 89, proclamando lo scioglimento dei sindacati rossi e la costituzione della camera sindacale fascista, sotto la presidenza di tale Guido Tartaglia […] uno degli squadristi più ortodossi e impegnati”. Se poterono impossessarsi di mobili e del carteggio, non poterono delle loro bandiere. “Queste furono portate via, poco prima dell’invasione, dal giovane operaio comunista Francesco Paolo Campo, preavvertito appena in tempo dell’incursione degli squadristi. Le bandiere furono consegnate al sacrestano della chiesa di Siponto, che le tenne nascoste nella basilica per un certo tempo: poi vennero conservate da alcuni operai nelle proprie abitazioni”. In seguito agli scavi degli anni ’30, troviamo come nuovo sacrista custode Michelangelo Capaiuolo (1872-1957), con la moglie Rachele Fabiano e i due figli Grazia e Matteo[2]. Michelangelo prima di fare il sacrista di Siponto era ‘navigante’ e con la famiglia abitava vicino il Campanile, poi si trasferirono a Siponto, vivendo nella stanza dell’eremita e in un’altra più piccola costruita all’inizio della scala, demolita nei restauri del 1972-75. Come gli antichi eremiti, i Capaiuolo hanno vissuto senza corrente e senz’acqua potabile, di elemosine lasciate dai fedeli ed il ricavato dalla coltivazione di un orto proprio dietro la chiesa. Michelangelo rimase custode e sacrestano fino alla sua morte, poi gli subentrò il figlio Matteo (1916-1983). A differenza del padre, si ritirò negli anni ’70 in città, abitando in via S. Lorenzo, dove morì nel 1983. Legati alla loro presenza alcuni aneddoti raccolti invece da Michele Nenna, che ringrazio. La moglie Rachele Fabiano (1887-1967) raccontava di essere stata svegliata più volte nel cuore della notte da una voce che supplicava: “Rachelen, Rachelen… ascinn… steche au scöret”. Era la Sipontina che la chiamava, e con pazienza scendeva fin giù in cripta e trovava sempre il lume ad olio spento o perché era finito l’olio, o per problemi del lumino di stoppa. Ai Capaiuolo succedettero dagli anni ’70 fino agli inizi anni ’90 del secolo scorso Giuseppe Tomaiuolo (1916-2001) e suo figlio Leonardo, che però non risiedettero nella casa dell’eremita, bensì in città.

 Don Leonardo Petrangelo

[1] Archivio di Stato di Lucera, Atti notarili di Manfredonia, Notaio L. Prencipe (9 aprile 1790), b. 4738, cc. 55-56. Ringraziamo Pasquale Ognissanti per aver già pubblicato e condiviso questo inedito su questa Rivista nel 2014, pp. 17-21.

[2] Qualcosa in più sappiamo di loro grazie alla cortese disponibilità del nipote Matteo Capaiuolo, da me intervistato.

 

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