Per l’annuale fermo biologico obbligatorio
LA FLOTTA peschereccia è rimasta agli ormeggi in porto: non di certo per una vacanza estiva, bensì per ottemperare all’annuale “fermo pesca obbligatorio” previsto dal Governo italiano al fine di tutelare le specie marine più diffuse favorendone la riproduzione naturale. Lungo l’Adriatico, e dunque da Manfredonia a Bari, fino al 29 settembre prossimo i pescherecci rimarranno agli ormeggi in porto. Il fermo pesca riguarda i pescherecci che praticano la pesca con i sistemi a traino, la discussa pesca a strascico che è in via di abolizione completa. Ma i pesci sui mercati non mancheranno. Continueranno la propria attività le barche della cosiddetta “piccola pesca” artigianale, della lunghezza inferiore ai dodici metri che operano entro le dodici miglia dalla costa.
A MANFREDONIA la piccola pesca è una parte notevole della flotta peschereccia che negli ultimi anni ha subìto una forte contrazione, ridotta dalle circa seicento barche di un decennio addietro, alle pressoché duecento imbarcazioni complessive. Una riduzione che si è riverberata sul consistente indotto che movimentava il settore pesca, tradizionalmente asse portante dell’economia manfredoniana, orfana di tante altre attività economiche di volta in volta cacciate via. Offrendo pertanto un notevole contributo alla disoccupazione complessiva.
ANCHE per quest’anno, per il periodo del fermo pesca obbligatorio la Legge di bilancio ha stanziato trenta milioni di euro per le indennità onnicomprensive spettanti ai lavoratori dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima. «Un ristoro opportuno per una categoria in forte affanno» rilevano i responsabili regionali Unciagroalimentare-Puglia Donato Fanizza e Lelio De Laurentiis, i quali facendo propri i rilievi programmatici del presidente nazionale confederale Conf PMI Italia, Tommaso Cerciello, hanno ribadito la necessità di tracciare una politica di rilancio degli investimenti e della tutela dei diritti dei lavoratori in specie quelli di nuova generazione. Il fermo biologico inteso – ribadiscono Fanizza e De Laurentiis – come opportuno intervento per la tutela del patrimonio ittico cui va unita l’attenzione per la sostenibilità economica delle imprese di pesca.
IL SETTORE della pesca e dell’acquacoltura in Puglia – rileva Coldiretti Puglia – vale 225 milioni di euro, prodotti da 1.455 battelli, il 12,3 per cento del totale nazionale, il 10,5 per cento del tonnellaggio complessivo, il 12 per cento della potenza motore. Ma otto pesci su dieci arrivano sui nostri mercati da mari stranieri e confusi con quelli nostrani. Nonostante l’impegno della Guardia costiera, riescono ad eludere le tassative leggi in materia. Tale malcostume è tra i motivi che alimentano la crisi del settore ittico nazionale la cui produzione è in costante calo. Né il consumatore soccorre molto: quando si avvicina ad un banco di vendita di pesce a tutto guarda fuorché il GSA vale a dire il numero che contraddistingue le aree geografiche ove quel pesce è stato pescato: per l’Adriatico settentrionale è 17, Meridionale 18, Jonio occidentale 19, Corsica 8, Malta 15, Sicilia 16. L’indicazione è stampata sull’etichetta che accompagna la specie di pesce che andrebbe consultata prima di acquistare i pesci.
Michele Apollonio