Sono giunte fino ai nostri giorni, e sono passati secoli, senza che mai nessuno abbia sciolto il mistero delle feritoie che caratterizzano la già singolare Torre stellare a otto punte del castello Maresca di Serracapriola. L’avvincente storia e le straordinarie caratteristiche tecniche di quel castello che richiamano impieghi strategico-militari, sociali, economici e culturali, sono stati raccolti nel ricco volume “La torre e il castello di Serracapriola. Mille anni di storia” edito da Claudio Grenzi. “Un lavoro – spiega l’architetto Antonello D’Ardes, responsabile dei lavori di restauro del castello nonché uno dei curatori del volume – rappresenta solo una delle tappe del percorso di valorizzazione del monumento che prevede, al termine dei lavori di restauro, l’istituzione di un museo collocato all’interno dell’antica Torre, grazie ad un cofinanziamento della Regione Puglia nell’ambito del Por Puglia, Radici ed Ali”. Un racconto avvincente che attraversa secoli di storia di una cittadina dalla posizione strategica da cui si domina gran parte del Tavoliere dauno, passaggio obbligato della “Mena delle pecore”, tracciata da Giovanni Muto dell’Università di Napoli, Saverio Russo dell’Università di Foggia, Paolo Perfido dell’Università di Bari. Lo storico e geografo Alberti nel 1550 lo cita come “Honorevole castello, è molto nominato per tutto il Regno di Napoli per il passaggio degli animali e in questo luogo v’è la Dogana”. Un affresco di un monumento vivo, completo degli arredi e del vissuto dei casati che ne hanno avuto il possesso: i Di Sangro, i Gonzaga-Di Capua, i d’Avalos e dal 1742 i Maresca che proseguono l’opera della sua valorizzazione. “I lavori di restauro – annota D’Ardes – hanno offerto nuovi spunti di riflessione sulla architettura di un edificio dalla straordinaria stratificazione storica, in buona parte ricostruita, soprattutto nella fase di trasformazione dell’edificio da castello a palazzo, dal XVI al XX secolo, laddove sono emerse numerose riscritture degli “apparati” delle sue sale di rappresentanza per adeguarle alle mutevoli istanze dell’abitare aristocratico. È il caso della riscoperta delle tracce di una grande galleria con otto colonne isolate e tre navate, ridimensionata a seguito del disastroso terremoto del 1627, a “sala del trono” e in un grande salone con stucchi”. Nessun indizio è però emerso per spiegare la presenza sui lati della Torre, di quelle strette feritoie, ben 23 complessivamente. Tutte puntate verso il cielo, pertanto senza alcuna funzione strategica di difesa. La tesi prevalente è rimasta quella di favorire l’ingresso della luce: suggestive lame luminose sul pavimento in relazione al movimento del sole. In ogni caso la Società Astronomica Pugliese ha in corso opportuni approfondimenti. Anche la stessa Torre “ottagonale” come la definì nel 1843 lo storico sanseverese Fraccacreta, oggetto di interpretazioni diverse da parte degli storici sul contesto culturale che ha dato origine ad un edificio a pianta centrale, a forma di stella, dai contenuti fortemente simbolici. “La forma, oltre alla tecnica costruttiva con i suoi ricorsi orizzontali in mattoni a spina di pesce – rileva l’architetto D’Ardes – suggeriscono rimandi lontanissimi tra loro: dai Longobardi, ai normanni, ai bizantini sino a spingersi al confronto con alcune torri del lontano oriente; afghane (Bove) o tibetane (Perfido)”. Di certo l’edificio in occasione del disastroso terremoto del 1627, a differenza del castello che “ruinò tutto”, “la Torre ottagona non fu toccata in minima parte”.
di Michele Apollonio