Raggiunta la parità di genere meno che nelle posizioni apicali
«IN PROVINCIA di Foggia la prima donne laureata in medicina risale al 1915. Altre due se ne aggiunsero nel quinquennio tra il 1945 e il 1950. Il pareggio fra uomo e donna laureati in medicina lo si raggiunge nel 2000 e dieci anni più tardi avviene il sorpasso: le donne sono il 64 per cento dei laureati in medicina». Lo ha ricordato il cardiologo a lungo primario all’ospedale “De Lellis” di Manfredonia, oggi in pensione, Lorenzo Pellegrino, intervenendo al convegno tenutosi a Manfredonia nell’auditorium “Vailati”, “Donne nel mondo della salute”, organizzato da AMMI-Donne per la salute, AMCI-Associazione medici cattolici italiani e dal Lions Club Manfredonia Host.
UN TENA di grande interesse fortemente dibattuto per le implicazioni sostanziali in settore in cui la presenza femminile si è rivelata fondamentale come hanno evidenziato in apertura dei lavori Giuseppe Grasso, direttore dell’Ufficio pastorale per la salute e presidente dell’AMCI Manfredonia; Arcangela Bisceglia, presidente del Club Lions, Michela D’Errico, past president nazionale che ha sollecitato le donne «ad essere più presenti e influenti nelle tematiche sanitarie e nella diffusione della cultura della prevenzione». Una presenza sempre più numerosa e qualificata che «pare uscita da una sorta di clandestinità per raggiungere una affermata autonomia che appare persino scontata».
MA COME sono distribuite le donne nel composito modo della sanità? Le indicazioni statistiche le ha fornito il dottor Pellegrino che ha dedicato alla ricerca storica della medicina, con particolare riferimento alla Puglia e alla Capitanata, raccolte in numerose apprezzate pubblicazioni. «Il sesso maschile prevale – ha relazionato – nelle lauree in odontoiatria, mentre nel 1970 sono alla pari in quella in farmacia; un equilibrio superato a vantaggio del 70 per cento delle donne nel 2017. Il gap riprende – rileva Pellegrino – nelle carriere dirigenziali dove le donne sono una su tre e nei posti da primario dove le donne sono una su 10».
UNA PENALIZZAZIONE? «A mio avviso no» è la risposta del cardiologo-ricercatore. «per diventare direttore di struttura complessa o accedere ad altro ruolo apicale, necessitano di 20 o 30 anni di anzianità di servizio. Con un maggior numeroso di donne medico e il pensionamento in cui prevale il numero degli uomini, questo divario sarà superato».
AL TIRAR delle somme si deduce che la professione medica si va declinando al femminile: ma la nostra società è pronta? A rispondere al pressante quesito è stato Pierluigi Nicola De Paolis, presidente dell’Ordine dei medici di Foggia, che ha confermato come le donne siano in aumento nelle professioni sanitarie, ma non nelle posizioni apicali dove faticano ad emergere. «Non dimentichiamo – ha spiegato – che le donne medico sono anche moglie, madre, care giver e ad oggi in Italia non riescono ad avere quel supporto in termini di servizi che consentirebbe loro di alleggerire questo carico e di avere le stesse opportunità degli uomini. É necessario, perciò, pretendere rispetto per le donne anche nel mondo del lavoro e accompagnare questa progressione al femminile non solo con le tutele delle associazioni di categoria o degli enti previdenziali, ma anche con le tutele dello Stato”.
Michele Apollonio