Un’alternativa alle crociate di allora come a quelle di oggi
Di Michele Illiceto
In vista del Natale, molti in questi giorni hanno allestito il presepe. Quest’anno tale gesto di lunga tradizione assume un valore particolare, in quanto ricorre l’ottavo centenario da quando, nel dicembre del 1223, a Greccio, Francesco di Assisi ha avuto la felice idea di allestire il primo presepe della storia. Francesco, come ci ricorda Tommaso da Celano, suo primo biografo, voleva che il presepe fosse un invito a «vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato (Gesù) per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello» (Tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco, § 468).
Perché fare un presepe e perché farlo a Greccio? Ecco le domanda che ci dobbiamo porre se si vuole cogliere fino fondo il vero senso di quell’evento, per comprendere il quale è necessario ricordare brevemente il contesto storico in cui esso si inserisce. Si tenga conto che siamo nel dicembre 1223 e ci troviamo in un periodo difficile per Francesco. E ciò per due motivi.
Il primo riguarda le forti tensioni interne al francescanesimo tra la corrente rigorista e la corrente più morbida, e ciò fa molto soffrire il poverello di Assisi. Infatti, quando arriva a Greccio per fre il presepe, egli era di ritorno da Roma, dove papa Onorio III, dopo tante peripezie, il 29 novembre finalmente approva la Regola, dopo la prima del 1209-10, detta “Propositum”, e la seconda del 1221, detta non bollata, perché non ancora approvata. Solo che in quest’ultima stesura (guarda caso scritta proprio a Greccio, nell’eremo di Fonte Colombo) Francesco ha dovuto fare molte concessioni e rinunciare a tante scelte radicali.
Per tale ragione, sente il bisogno di ricordare ai frati qual è il nocciolo e il cuore del suo messaggio evangelico, tutto imperniato sui valori della pace, dell’umiltà, della fraternità universale, oltre che chiaramente della povertà, vero pilastro di tutta la sua spiritualità. Ecco allora che il presepe serve proprio a questo: a evangelizzare i frati e ogni cristiano che si sarebbe avvicinato a quella mangiatoia. Ha ragione Papa Francesco quando dice che il presepe è una prima forma di evangelizzazione.
Il secondo motivo è dato dal fatto che ci troviamo nel bel mezzo delle crociate, iniziate nel 1096. Nel frattempo nel 1215 c’è stato anche il Concilio Lateranense IV, dove veniva fatto esplicito divieto ai cristiani di avere rapporti sia con gli ebrei che con i musulmani. In questo clima di radicale intolleranza e di violenza, giustificata stoltamente come guerra santa, durante la V crociata del 1217-21, Francesco, contravvenendo agli ordini impartiti dal papa ai preti e agli ecclesiastici di predicare a favore delle crociate, nell’estate del 1219, a suo rischio e pericolo, scandalizza tutti: si reca in Terra santa, non tanto per incontrare il sultano, come se fosse un diplomatico mandato dal pontefice a convincere il nemico, ma semplicemente per “stare” con umiltà e mitezza in mezzo ai musulmani.
Insomma, si tratta di un radicale rovesciamento dello spirito delle crociate. E ciò lo si evince da un passo fondamentale della seconda regola del 1221, detta “non bollata”, scritta e approvata dal Capitolo proprio dopo il viaggio tra i musulmani. Qui Francesco scrive: «I frati poi che vanno fra i musulmani possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Regola non bollata, § 43). Insomma, stare tra i musulmani con “umiltà e minorità”, senza fare proselitismi.
Quindi l’episodio del presepe a Greccio si colloca in questo periodo cruciale per Francesco e per la Chiesa. E questo ci aiuta a fare due ipotesi interpretative.
Una Prima tesi è che il presepe rappresenta per Francesco un’alternativa alle crociate nel modo di approcciarsi al mondo islamico. È un modo per sconfessare le crociate. È come se Francesco dicesse: non c’è bisogno di andare in Terra santa. La Terra santa è ovunque se la si ha nel cuore, vivendo la logica del vangelo sine glossa che insegna tre cose amore, pace e fraternità, con umiltà e povertà.
Da qui il suo intento di riprodurre a Greccio non tanto la scena, ma l’ambiente della mangiatoia che in latino si dice presepe. Una seconda ipotesi interpretativa è che Francesco ha bisogno di ricordare ai frati qual è il nocciolo e il cuore del suo messaggio, e vuole con il presepe mette al centro della spiritualità dei suoi seguaci le grandi virtù che emergono proprio dal presepe: amore, spoliazione, povertà. umiltà, distacco, esposizione al rifiuto, minorità, e piccolezza. Il presepe è un concentrato di virtù evangeliche.
Questo è anche il motivo per cui sceglie Greccio. Infatti, sia Greccio che Betlemme rappresentano tutti i dimenticati, non solo dagli uomini ma anche da Dio. Sono le cosiddette geografie dimenticate, poste in periferia e ai margini. Ma con Dio la periferia torna al centro, secondo quanto dice il profeta Michea: “E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele” (Mi 5,1).
Nel presepe c’è questo messaggio: i margini della storia vengono eletti a luoghi della grazia. Betlemme, in fondo, non è che un angolo remoto della terra. Un luogo fuori luogo. Un luogo che a mala pena è registrato nelle mappe del tempo. Betlemme è luogo di scarto. Luogo che raccoglie ogni forma di insignificanza. Fuori da tutto: dalle rotte commerciali e dai pellegrinaggi religiosi. Luogo dove le lontananze si moltiplicano. Metafora di tutte le forme di emarginazione.
Allora, Betlemme e il presepe sono un elogio della piccolezza. Dell’infinitamente piccolo. “La piccolezza è la strada per incontrare Dio”.
Ecco allora il nocciolo: il presepe è un invito a farsi piccolo con i piccoli, ultimo con gli ultimi. Chi si fa ultimo abbraccia tutti, non esclude nessuno. Un testo biblico di S. Paolo (Rm 12, 14-21) dice che chi si fa ultimo sa stare con tutti, e raccomanda di non rendere a nessuno male per male. Anzi, bisogna cercare di compiere il bene davanti a tutti gli uomini, e per quanto dipende da noi, vivere in pace con tutti. Fino al punto che, se il mio nemico ha fame, devo dargli da mangiare; e se ha sete, dargli da bere. Insomma, come aveva detto anche il grande filosofo Socrate: non lasciarsi vincere dal male, ma vincere con il bene il male.
Inoltre, dalla piccolezza scaturiscono tante virtù descritte da Paolo che in Fil 2, 1-5, dice: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”.
È questo che ha affascinato Francesco di Assisi, ed è per questo che a Greccio, 800 anni fa ha allestito la prima mangiatoia (che in latino si dice presepe) dove ha messo solo il bue (che richiama gli ebrei) e l’asino (che richiama i pagani) per rivivere lo spirito di Betlemme. Uno spirito di pace sempre alternativo a chi invece pensa che la guerra, che in questo nostro tempo di nuovo imperversa e atterrisce, sia giusta e utile.
Che i tanti presepi che ci sono in giro in questi giorni sappiano farci rivivere lo spirito di Greccio e di Betlemme, per promuovere anche in noi pratiche e stili di vita ispirati alla pace e alla fraternità.
*chi desidera approfondire tale tema, il prof Illiceto parlerà di tali argomenti questa sera presso la Chiesa di S. Maria alle ore 19.15 nella sala di S. Francesco.