Le dinamiche costruttive della nascita di Manfredonia esaminate in un convegno Lions
LA NASCITA di Manfredonia è per tanti aspetti dogmatica. Gli storici non hanno del tutto risolto le modalità con le quali è sorta e sviluppata. In particolare se ha avuto il crisma della fondazione, come Roma per intenderci. La gran parte degli storici attribuisce a re Manfredi il merito della fondazione, in qualche modo corretta da altri studiosi che fanno presente che esisteva già un “casale” laddove poi se è insediata la nuova città. Manfredi di Svevia avrebbe insomma proceduto all’“assemblaggio” della nuova città peraltro appena avviato, interrotto dalla prematura morte del re delle due Sicilie.
PER PORTARE nuova luce su quel passato per tanti aspetti intricato, il “Lions club Manfredonia Sipontum”, ha organizzato il convegno “Manfredonia, nascita di una città e delle sue cinte murarie”, affidandone la disamina a Domenico Curci, già ingegnere capo del Comune di Manfredonia, e all’architetto Nunzio Tomaiuoli, già soprintendente ai Beni culturali del territorio. Introdotti da Pasquale Ricucci, presidente del sodalizio organizzatore, i due tecnici si sono soffermati sulle dinamiche costruttive della nascita della città che Manfredi aveva immaginato come terzo polo del suo regno, con Napoli e Palermo.
IL DATO certo (Curci) è la “Datum Orte” del 12.11.1256 di re Manfredi. Così come certo è che per erigere le mura della citta ma anche molti degli edifici, fu utilizzato il materiale da costruzione recuperato dalla Sipontum ormai diruta e abbandonata. Lo sviluppo della città fu proseguito dagli angioini e dagli aragonesi, consci dell’importanza strategica di Manfredonia (rinunciarono a chiamarla “Sypontum novellum”) fino al 1620 quando fu posta a ferro e fuoco dai Turchi. Un evento disastroso che ha condizionato il futuro della città che venne praticamente rasa al suolo. E’ rimasto l’impianto base che sia pure con successivi interventi, costituisce l’attuale centro storico.
ALLA MORTE di Manfredi (26,2,1266) la città era già strutturata (Tomaiuoli): ospitava la zecca governativa per coniare monete; vantava una discreta attività portuale; si stava edificando un tratto di mura di cinta; aveva una grande campana per l’allerta in caso di pericolo. Carlo I d’Angiò (il vincitore di Manfredi a Benevento) affidò “a cottimo” l’appalto della costruzione della cinta muraria, poco più di due chilometri, al “magister” Giordano, imprenditore di Mone Sant’Angelo.
«ASPETTO più rimarchevole – annota Tomaiuoli – è la tipologia moderna dell’appalto che consentiva a Giordani di avvalersi di non più di 24 “magistri principales”, imprenditori con le rispettive squadre di operari. L’equivalente del moderno istituto giuridico dell’ATI, ovvero Associazione Temporanea d’Imprese. Il modello di cinta muraria di Manfredonia rientra a pieno titolo nella cultura architettonica gotica, scarsamente applicato in forme così compiute in Italia».
UNA PREZSIOTA’ poco o niente affatto apprezzata dai manfredoniani che hanno praticamente distrutto quella costruzione (sono rimasti che pochi tratti malandati) che, oltre ad una doverosa conservazione di tanta memoria storica, avrebbe costituito una straordinaria attrazione turistica. Né gli amministratori susseguitisi nel tempo hanno mai pensato ad opportuni interventi. Anche il sindaco Rotice, presente all’evento, ha sorvolato sull’argomento specifico preferendo parlare dell’area della ferrovia da recuperare.
Michele Apollonio