Son trascorsi sei anni dall’eccidio nei pressi della stazione dismessa di San Marco in Lamis, nel quale furono trucidate quattro persone: un boss appena scarcerato e suo cognato, entrambi di Manfredonia, obiettivi dell’agguato, e due fratelli contadini di San Marco in Lamis, che solo il caso li ha posti sulla scena della terribile imboscata di stampo mafioso. Il 9 agosto 2017 una data da non dimenticare che spinge a riflettere, a ragionare, a interrogarsi su quel fenomeno chiamato “mafia”: una parola divenuta usuale, troppo ordinaria al punto di perdere quel tremendo potenziale distruttivo, materiale e morale, che racchiude in sé. Le Istituzioni della provincia – prefettura, procura, sindaci, forze dell’ordine – si sono ritrovate, insieme a numerosi cittadini, in raccoglimento davanti alla stele che ricorda il mortale agguato in cui persero la vita i due innocenti contadini sammarchesi, nei pressi della stazione ferroviaria dismessa di San Marco in Lamis. Un doveroso e sommesso pellegrinaggio che si ripete ad ogni triste ricorrenza, che rischia di diventare solo una mesta routine. Rimangono infatti terribilmente aperti tutti i misteri e i quesiti che quella tragedia ha acuito e che vengono da molto più lontano. E dunque gli interrogativi angoscianti e pressanti sulla esistenza e l’attività della mafia. «Sei anni fa la provincia di Foggia e l’Italia intera hanno capito che un cancro aveva diffuso le proprie metastasi in ogni ambito della vita pubblica, nella gestione economica delle imprese, nelle amministrazioni comunali» ha sancito una nota il Pd di Manfredonia nell’intento di aprire un pubblico dibattito. «Fino al 9 Agosto 2017 – rileva – il territorio ha vissuto girando la testa dall’altra parte, relegando omicidi efferati, lupare bianche, racket delle estorsioni, traffico transnazionale di stupefacenti e abigeato, a semplice lotta tra pastori» quando invece «la Quarta mafia – denuncia – ha mostrato a tutti che non si uccidono fra di loro e che non basta farsi i fatti propri per avere salva la vita». E l’associazione politica e culturale “Manfredonia Nuova” afferma in un comunicato, senza mezzi termini «La mafia c’è con le sue trame invisibili, ma potenti e invasive». Richiama le parole dell’arcivescovo padre Franco Moscone che non manca di spronare a «mettersi dalla parte della giustizia e della legalità che sono la vera profezia del momento». Denuncia «il silenzio dei partiti e delle associazioni» che indica «un pauroso scollamento tra cultura e politica che favorisce atteggiamenti di disinteresse nei confronti di pericolose derive sociali a scapito del benessere della comunità». Il blogger ed ex assessore comunale per oltre dieci anni, Paolo Cascavilla, accennando ai sei comuni sciolti per mafia, afferma perentorio «in Capitanata la mafia c’è e resterà: ormai ci abbiamo fatto l’abitudine». Una resa incondizionata respinta dalla presidente di “Manfredonia Nuova” Iolanda D’Errico, che rilancia l’appello per «un forte impegno educativo a difesa dei valori fondamentali del vivere comune e dunque con il coinvolgimento di scuola, sanità, istituzioni. Se vogliamo evitare – avverte – che la miseria morale e materiale prima o poi possa riguardare tutti, ma proprio tutti».
Michele Apollonio