Giovedì 21 Novembre 2024

I colori dello sport non si addicono alle torte di pasticceria

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UN PASTICCIERE tifoso di calcio ha corso il rischio di pagare cara l’idea di unire la sua attività professionale di preparatore di dolci con la passione per il calcio. Detto fatto: ha confezionato tre belle torte che ha ricoperto con i colori delle squadre di calco di Milan, Inter e Juventus e per di più scrivendo su ciascuna “forza rossoneri”, “forza nerazzurri”, “forza bianconeri”.

UN SIMPATICO omaggio a tre autorevoli rappresentanze del nostro calcio. Le fette di quelle torte sono andate a ruba gustate dai tifosi di quelle squadre che hanno gradito l’omaggio. Non così evidentemente è stato per qualche tifoso di altra squadra che, probabilmente indispettito, ha pensato di rendere amari i dolci bocconi “calcistici”. Ha perciò addirittura denunciato alla Magistratura il pasticciere per «ricettazione di prodotti del settore dolciario che riproducevano i colori della squadre della Juventus, dell’Inter e del Milan».   

NELLO SPECIFICO «la condotta materiale del reato presupposto alla ricettazione, ossia la contraffazione, è dimostrata dall’identità proprio delle diciture “forza nerazzurri”, “forza bianconeri” e “forza rossoneri”, riportate sui prodotti e rivendicate nelle relative registrazioni di marchio» rileva l’avvocato Antonio La Scala, manfredoniano ma operante al Foro di Bari, che ha difeso l’ignaro pasticciere. «Affinché sussista l’elemento soggettivo tipico della ricettazione, e, quindi, la responsabilità penale – ha sostenuto La Scala dinanzi al Tribunale di Livorno – non è sufficiente ritenere che il venditore debba presumere la conoscenza derivante dalla pubblicazione della registrazione del marchio, ma occorre altresì che l’agente, e dunque l’imputato, fosse a conoscenza dell’esistenza di un valido diritto di privativa e lo abbia dolosamente contraffatto».

L’ACCUSA non è riuscita a provare che l’imputato-pasticciere, sapesse in concreto, e non in astratto e in base a presunzioni, che le parole “nerazzurri”, “rossonere”, “bianconere” fossero oggetto di registrazione come marchi. «Considerata la scarsa capacità distintiva dei segni in questione – ha sostenuto l’avvocato difensore – rappresentati dal mero accostamento di due nomi di colori, il loro diffuso utilizzo anche nel linguaggio comune, il loro uso anche da parte di altre squadre che hanno gli stessi colori, non solo calcistiche e non solo italiane, dimostrano che l’imputato abbia agito in perfetta buona fede, non sapendo che quelle tre parole fossero state registrate come marchi dai loro titolari che peraltro hanno depositato soltanto in tempi relativamente recenti, a fronte di attività sportive più che centenarie».

UNA VICENDA emblematica da tenere bene a mente a futura memoria. L’aspetto probabilmente più curioso o sconcertante, è che per arrivare a chiarire i termini di in una “partita” tutto sommato bizzarra, ci sono voluti ben sei anni.

Michele Apollonio

 

 

 

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