Giovedì 26 Dicembre 2024

Foggia alla ricerca del suo Sindaco. E se fosse Salatto? 

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Meno di cinque mesi e Foggia, capoluogo della Daunia, tornerà alle urne al termine di un lungo calvario sfociato nella decapitazione del suo governo. Ho parlato spesso di questa brutta storia, solo in parte venuta in superficie perché le inchieste che hanno portato il Palazzo a spingersi sul baratro di un precipizio inevitabile sono ancora al vaglio della Magistratura giudicante che è chiamata adesso ad accertare le responsabilità di coloro che determinarono lo scioglimento dell’Ente per infiltrazioni mafiose. Da convinto garantista, mai ho apprezzato la foga di chi ama fare i processi sui giornali, mettendo alla gogna le persone coinvolte in vicende imbarazzanti, ponendo in essere una mattanza riprovevole. E tuttavia ritengo che, in attesa che i processi seguano il loro corso, un primo giudizio la città lo abbia già emesso. È un verdetto di netta condanna politica sia sui singoli, sia sulla coalizione che di quella storia si rese protagonista. E tuttavia la città ha già cominciato ad interrogarsi, a guardare da che parte ricominciare nel tentativo di tracciare un suo nuovo percorso. In vero la sensazione che le formazioni politiche siano ancora impantanate e lontane dall’idea di come allestire una proposta attrattiva è molto forte perché si continua a camminare in attesa. Il centrodestra, che porta innegabilmente sulle spalle le pesanti responsabilità nel disastro andato in scena, appare diviso, quasi consapevole di come risulti ora imbarazzante chiedere agli elettori un consenso. Fratelli d’Italia, la sola forza che scelse di staccare la spina prima che la giunta e il suo sindaco collassassero sotto i colpi di maglio degli inquirenti prima e del Viminale dopo, sa bene che la coalizione deve ancora epurarsi da tossine che hanno avvelenato i rapporti interni tra gli alleati di squadra. D’altro canto, guardare all’appuntamento di novembre con l’ottimismo del vento in poppa che spinge il governo nazionale o sperare in una resurrezione elettorale riveniente dal “triste addio terreno” di Berlusconi, lascia tranquilli sino ad un certo punto perché qui a Foggia, a far saltare il banco, sono stati loro, sostenendo sino all’insostenibile il sindaco Landella. Ma anche nel centrosinistra le cose non risultano affatto chiare e tranquille. Il Pd e il Movimento 5 Stelle dialogano poco e male, prendono tempo, stretti forse dalla paura di decidere e di sbagliare. Insomma, camminano assieme ma, di fatto, usano linguaggi diversi, storie distanti. L’unica certezza del centrosinistra è la sua incertezza. È in questo contesto che sono maturate alcune auto candidature, come quelle di Giuseppe Mainiero e di Nunzio Angiola, entrambe lontane da un probabile attracco non fosse altro perché avulse dagli schieramenti che hanno i numeri per correre veramente la partita ai blocchi di partenza. Anche Antonio De Sabato, bravo e volenteroso giovane, sembra proporsi con un drappello di civici provenienti da ambienti associativi del volontariato e della cittadinanza attiva, ma anche qui fatico molto a credere che possa avere una qualche chances di successo. La città di Foggia, questo il punto vero della questione, deve ritrovarsi e non può permettersi salti nel vuoto, men che meno consegnarsi ad avventure spericolate che trasformerebbero i suoi abitanti in cavie per un esperimento improbabile. Insomma, per rimettere in piedi Foggia non servono ne novelli Robespierre ne grigi surrogati della politica del tempo andato, rivelatasi incapaci di leggere il futuro del villaggio. Nel 2014 Foggia avrebbe potuto cogliere una vera opportunità con Augusto Marasco, professionista capace e di spessore. Ma riuscì a sciuparla grazie all’impegno di un manipolo di avventurieri di cui sono note le generalità. E così alcuni lanzichenecchi aprirono la strada a Franco Landella. Fu una scelta miope, sbagliata, lo dice la storia, ma per fortuna l’errore dona semplicemente l’opportunità di iniziare a diventare più intelligenti. Del resto, l’appuntamento, lo dicono tutti, è davvero importante e travalica i confini delle mura della città perché se riparte Foggia si riprende tutta la Capitanata. In questi giorni la Commissione Straordinaria, pur dotata di limitati poteri, sta dando prova tangibile che il buon senso paga, a cominciare dalle piccole cose. E questo è possibile perché il prefetto Vincenzo Cardellicchio è persona di mestiere, interprete del sentimento che un buon padre di famiglia deve avere quando viene chiamato al capezzale di una città dolente. Dunque, non serve un salvatore della patria, che poi non intravedo da nessuna ma una persona che possa dedicarsi al bene comune offrendo il suo tempo per un’impresa indubbiamente complicata, difficile perché richiede il senso di una responsabilità matura, competente, cristallina e credibile. È questa la proposta che Municipia, l’associazione promossa dal Tito Salatto, ha affacciato nel torpore del contesto circostante. È stato come gettare un sasso nella morta gora. L’idea mi sembra tutt’altro che banale e questo per due ragioni fondamentali. La prima riguarda la collocazione di Municipia che va oltre i partiti tradizionali, ma senza rimuoverne il ruolo anzi sollecitando un rigenerante impegno ideale e politico. La seconda riguarda il personaggio Salatto che conosco da sempre non solo per ragioni familiari e professionali. Imprenditore di successo, ha dato prova di saper guidare un grande gruppo verso traguardi lusinghieri. Ma Salatto è anche un uomo capace di inseguire un sogno perché coltiva la curiosità di cercare sempre la bellezza, inseguire la fantasia innovativa che in una sua pur breve esperienza istituzionale riuscì a mettere in campo con innegabili risultati sul piano culturale. Alle sue indubbie qualità intellettuali affianca quelle manageriali di capitano d’azienda e imprenditore che va trasferendo a Rocco ed Antonella, i suoi figli maggiori. Ma c’è dell’altro. Tito Salatto ha scelto per stile di vita di stare sempre lontano dai due peggiori vizi che Foggia si porta dietro come una palla al piede: il moralismo e quel vezzo piccolo borghese che antropologicamente aleggia negli interstizi sociali del suo tessuto collettivo. Per dirla tutta, credo che il chirurgo abbia nel cuore e nella testa il cauterio per incidere e curare i mali vecchi e nuovi di una città che conosce bene. Potrebbe farlo e forse non si tirerebbe indietro se fosse chiamato nell’impresa di far rinascere una città agonizzante che ha bisogno di sperimentare una seconda disperata operazione Lazzaro. Del resto, la necessità che la città richiede sta tutta nel possibile impegno di persone che presentino credenziali di affidabilità non estemporanee, tutt’altro che improvvisate da movimenti pur rispettabilissimi ma scollati dal mondo del lavoro, dell’impresa, del sindacato, dai gruppi di pressione e di interesse che sono poi quei corpi intermedi capaci di identificarsi e sostenere un progetto. Lui, per come lo conosco, potrebbe mettere insieme l’anima popolare della città con i suoi strati produttivi ed operosi finiti nell’angolo, quasi timorosi di prendere parte al conflitto sociale in atto e partecipare. Carattere spigoloso ma generoso, determinato ma non autoritario, Tito Salatto potrebbe per me rappresentare quella politica del “giusto mezzo”, come diceva Cavour, di cui Foggia avverte il bisogno per riscoprire le sue radici e ritrovare la sua storia. Di certo lo farebbe con la passione civica che non gli è mai mancata e senza promuovere i ceti dominanti che ha perennemente avversato ma promuovendo quel che serve oggi a Foggia: una nuova classe dirigente. E se fosse Salatto?

di Micky dè Finis

 

 

 

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News · Venti ed Eventi

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