OGGI su quei tornanti che da Macchia si inerpicano agevoli e scorrevoli per novecento metri per raggiungere Monte Sant’Angelo, si corre anche una cronoscalata automobilistica che richiama folle di appassionati e piloti famosi che si contendono il rinomato trofeo “Salita di Monte Sant’Angelo”. La stessa strada carrozzabile che percorrono in comodi pullman i moderni pellegrini che si recano al santuario di San Michele Arcangelo festeggiato con grande concorso di popolo il 29 settembre. Il segno tangibile di una conquista del progresso, della evoluzione dei tempi, dei costumi. Una trasformazione lenta ma inesorabile i cui primordi si perdono nella notte dei tempi o su di lì. La storia delle vie per la Grotta santa è emblematica.
IL PRIMO tracciato di una via carrozzabile che da “Pedemonte” (cioè Macchia, distesa agreste che dalle falde del Gargano scivola fin sul golfo di Manfredonia) si inerpicava su a zig-zag sui fianchi dello Sperone d’Italia, per raggiungere i novecento metri di Monte Sant’Angelo, risale al 1668 per iniziativa del viceré Don Petrus Antonius de Aragon. «Ma solo un secolo più tardi, l’arcivescovo Francesco Rivera – ricostruisce Alberto Cavallini, storico del santuario di San Michele, Patrimonio Unesco, e direttore di “Voci e Volti” periodico dell’arcidiocesi di Manfredonia, Vieste, San Giovanni Rotondo – fece allargare il primitivo tracciato in modo tale “da far transitare una muta di ben sei cavalli”».
IL NUOVO percorso favorì l’afflusso di pellegrini al millenario santuario micaelico del Gargano, tra cui Papi, re, condottieri di eserciti. Prima di allora per raggiungere la montagna sulla cui sommità si apriva la grotta dell’Arcangelo, c’erano – ricorda Cavallini – tre vie, in buona sostanza sentieri che seguivano le asperità delle valli e dei monti garganici che portano le tracce del passaggio di migliaia di persone con muli e cavalli, e cioè: “Scannamugghièr” la più nota con tracciato sud-est; “Turmitese” che passava a nord-ovest attraverso l’antico eremo di san Pascazio; e infine la terza via che da Siponto saliva per la valle Sollina per raggiungere l’eremo-abbazia di Pulsano e superata la contrada Galluccio, oggi popoloso sobborgo di Monte, approdare alla basilica di San Michele.
CARLO I d’Angiò nel 1269 ordinò di manutenere quelle vie per favorire il flusso dei pellegrini ai quali chiese di contribuire alle spese di mantenimento dei sentieri. Misure che non risolvevano il problema di una ascesa al Gargano più agevole. Trascorsero alcuni secoli per gli interventi del viceré di Napoli prima e poi dell’arcivescovo Rivera, che impostarono la strada che nel tempo ha avuto continui ammodernamenti. In particolare nell’800 quando a spese della municipalità di Monte Sant’Angelo, l’ingegnere Oberty di Mondovì di Foggia ove progettò il pronao della villa comunale, e poi l’ingegnere Felice Ravillion, diedero a quel tracciato l’assetto che oggi collega comodamente il piano da Foggia e Manfredonia al Gargano.
GLI ANTICHI percorsi sono stati man mano abbandonati dalle “Compagnie di Sammecalére” anch’esse adeguatesi ai moderni riti devozionali. Non si vedono ormai più le pittoresche carovane che a piedi da Manfredonia salivano, accompagnati da canti liturgici, preghiere e riti penitenziali, alla Grotta santa.
Michele Apollonio