Ricordate Polvere di Stelle, film commedia andato in scena nel ‘73, scritto dal grande Maccari? Un set da sballo, con Alberto Sordi e Monica Vitti, ma anche Wanda Osiris, Carlo Dapporto e persino Alvaro Vitali. La trama racconta di una compagnia teatrale che cerca di sbarcare il lunario nella Roma del ‘43, in un’Italia messa in ginocchio dalla guerra. Una compagnia scalcinata che ne
passa di tutti i colori e che alla fine si riduce a vivere pateticamente di rimpianti. Perché ne scrivo? Perché la storia di questo film, non solo il nome, riporta alla mente un po’ quel che va accadendo in questi giorni nel Movimento 5 Stelle, lacerato da lotte intestine, che hanno già fatto tracollare questa formazione negli ultimi test elettorali. Un’autentica faida guidata da un Conticida! Anche qui la regia era quella di un comico niente male come Beppe Grillo, balzato improvvisamente agli onori della cronaca politica per aver fondato il movimento. Poi arriva Conte e le cose cambiano. Eccome se cambiano! Era il 9 settembre del 2009 e Grillo, assieme a Gianroberto Casaleggio, lancia la sua sfida “all’Italia ladrona” sventolando la Carta di Firenze. All’inizio un boom. Poi, come d’incanto, quando il comando passa a Conte, il gruppo si sfalda, ne più ne meno di quel che accadde nel secolo scorso ad un altro comico, il commediografo Guglielmo Giannini, napoletano ma di origini pugliesi, che nel ‘44 fondò il Fronte dell’Uomo Qualunque. Anche quella storia ebbe vita breve, neanche 5 anni, collocandosi in uno spazio trasversale tendenzialmente incline alle destre, mentre Grillo preferiva strizzare l’occhio dall’altra parte. Quella di Giannini fu una formazione populista, con atteggiamenti di sfiducia verso le istituzioni democratiche che finirono con il tradursi in opzioni conservatrici e semplicistiche che gli consentirono comunque di poter contare per pochi anni su una trentina di seggi in Parlamento. Personaggio improbabile, il suo motto era “non ci rompete più le scatole”, capace di passare dalla destra alla sinistra comunista di Palmiro Togliatti, che definiva anni prima “verme, farabutto e falsario”. Ma quando Amintore Fanfani, erano gli anni ‘50, formò un governo di centro sinistra per Giannini fu la fine. Non se lo filò più nessuno. Ho sempre pensato che ci fosse una qualche assonanza tra queste due trovate politiche che la storia racconta. Ma non pensavo fossero poi tante. Anche Grillo, che ha avuto una fortuna elettorale ben più consistente del suo collega in arte, aveva un suo motto, il famosissimo “vaffa…”, ma a parte questi aspetti pittoreschi, direi che una vena populista e qualunquista si è andata sempre più gonfiando nel movimento grillino sino ad arrivare ai nostri giorni. A ben guardare le cose, credo che il Movimento abbia avuto un merito nella vicenda politica italiana, soprattutto coprendo il vuoto che molte formazioni tradizionali hanno lasciato per strada. Molte individualità positive sono emerse sulla scena, come in Puglia che ha visto eleggere ben 28 deputati e 14 senatori del Movimento. Solo dalla provincia di Foggia 8 parlamentari sono arrivati a Roma. Mai una rappresentanza parlamentare così nutrita. Poi qualcuno si è perso per strada, come Rosa Menga, altri l’hanno semplicemente cambiata, come Nunzio Angiola, Antonio Tasso e Francesca Troiano. Ma è innegabile che questo Movimento, di cui non condivido nulla, ha rivelato alcuni portatori sani di interessi collettivi. Penso al giovanissimo Mario Furore, europarlamentare, a Marco Pellegrini, sempre in prima fila sui temi della lotta alla mafia, al bravo Giorgio Lovecchio, attento ed operoso attore delle dinamiche parlamentari. Di Rosa Barone non dico nulla: stimo moltissimo questa donna per la quale non sarebbe male immaginare un futuro politico onde poter sfruttare per Foggia quella genuina generosità che tutti, anche gli avversari, le riconoscono. Il punto è un altro però! Quante di queste individualità supererà indenne le forche caudine che si vedono nell’orizzonte pentastellato? La resa dei conti è dietro l’angolo, Luigi Di Maio lo sa bene e sembra anche aver colto con largo anticipo la strategia da attuare che è tutta incentrata sull’emancipazione di una parte del Movimento pronto a seguirlo, questa la mia sensazione. Il Ministro degli Esteri di oggi è una persona lontana anni luce dal ragazzotto di un tempo. Ha lavorato bene, è cresciuto. Giuseppe Conte ha invece una bella gatta da pelare. Mantenere la casa con tutti i suoi inquilini originari riesce difficile. Certo, lui sarà probabilmente eletto nel Parlamento del Paese, messo com’è in rampa di lancio. Ma del suo Movimento rimarrà poco o nulla. Come nella scalcinata compagnia di Polvere di Stelle.
di Micky dè Finis