Giovedì 21 Novembre 2024

Manfredonia  Saccheggi (Le conseguenze sulla città) Terza parte XVII secolo

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Il Seicento è stato caratterizzato, così come i due secoli precedenti, da un altro saccheggio, quello più noto e documentato, il “Sacco dei Turchi”. Sin dalla seconda metà del XV secolo, dopo la presa di Costantinopoli, Venezia era riuscita a contrastare l’espansionismo delle navi ottomane nel Mediterraneo orientale. La sua politica egemonica di scambi commerciali con l’Oriente era basata soprattutto sul possedimento di una fitta rete di porti in Dalmazia, Grecia e nelle isole del Mediterraneo orientale. Man mano però sarà costretta a cedere numerose isole dell’Egeo, il Peloponneso (Morea) ed alcuni porti dalmati. La Repubblica di Venezia fu obbligata a cercare quindi nuove alleanze per contrastare l’avanzata ottomana e si rivolse al papa Pio V. Verrà organizzata nel 1571 una coalizione militare chiamata Lega Santa (la terza) perché promossa dal papa. Trai maggiori partecipanti figurano la Spagna di Filippo II e la Repubblica di Venezia, successivamente si aggiunsero anche altri Stati europei. Il 7 ottobre del 1576 la flotta della Lega cristiana si scontrò con la flotta ottomana a Lepanto, nel golfo di Corinto, e la sbaragliò. La cocente sconfitta di Lepanto tolse la supremazia turca nel mediterraneo orientale ma non impedì attacchi improvvisi verso le città costiere dell’Italia meridionale che durarono fino alla prima metà dell’Ottocento. Manfredonia era già stata oggetto nel 1480, dopo il Sacco di Otranto e di Vieste, di un attacco da parte dei Turchi capeggiati da Ahmet Pascià, il due settembre di quell’anno, ma diversamente dalle prime due città il Pascià subisce una sonora sconfitta da parte del conte Alberto di Lupo che riuscì anche a catturare 200 prigionieri turchi. Sul Sacco dell’agosto 1620 possediamo due relazioni ufficiali1 pubblicate da Mario Siena sulla rivista “La Capitanata”. Possediamo inoltre un manoscritto di Antonio Nicastro dal titolo: “Relazione della presa di Manfredonia de Turchi2”. Tutte e tre le relazioni si integrano tra di loro senza contraddizioni sostanziali.Il giorno sedici agosto del 1620 allo spuntare dell’alba si scorsero a Pietra Masella cinquantaquattro galee dalle quali sbarcarono 5000 soldati per la gran parte giannizzeri. I turchi, divisi in due squadroni, marciarono verso la città e non trovando grande resistenza entrarono all’interno delle mura cittadine. Buona parte degli abitanti, compreso il Governatore, alla notizia dello sbarco fuggirono. I turchi, quindi, entrati in città la incendiarono e la saccheggiarono, catturando tutte le persone valide per poi rivenderle come schiavi. Gli occupanti si impossessarono delle torri e delle strutture difensive che erano state abbandonate e si posizionarono sugli edifici più alti di Manfredonia, tra i quali i palazzi signorili dei Cessa e dei Vischi, al fine di attaccare in maniera più efficace l’ultimo baluardo della resistenza cittadina, il castello(Fig.1).

 

Fig.1 Manfredonia all’inizio del ’600. Probabile situazione dell’abitato all’inizio del Seicento. La città doveva presentarsi con una struttura urbana ridimensionata rispetto al periodo medievale. La città era poco abitata: si può supporre, come riportato da A. La Cava, che dovesse avere all’incirca 2400 abitanti, ridotti ancor di più dopo il sacco dei turchi: infatti nel 1633 si riportano abitanti 1300. La città doveva essere abitata per poco più di un terzo della sua superficie, soprattutto nella parte ovest; la zona est (Area Militare) era poco abitata. Anche la parte superiore a Via Tribuna (Ruga de Comite), che nel medioevo era la via principale della città e su cui sorgevano gli edifici più importanti, doveva presentarsi pressoché disabitata. (Rielaborazione Tavola Tesi di Laurea di Michele Di Lauro, Università degli Studi di Firenze A.A.1983/84, relatore Prof. Arch. Delfo Del Bino,Correlatore Arch.Vitale Modica, (Centro Storico di Manfredonia- Analisi storica e morfologica del tessuto urbano.)

Il Nicastro, nella sua relazione, critica gli ispettori delle fortificazioni che non impedirono e <<mai volsero rimediare>> al grave pericolo costituito dalla presenza di edifici più alti del castello e che costituiscono una sicura postazione dalla quale sparare verso lo stesso. I pochi soldati della guarnigione presente nella fortezza riuscirono comunque a respingere l’attacco delle truppe ottomane. Il cinquecentesco bastione dell’Annunziata, costruito dopo il Sacco de Lombardi del 1528 per difendersi dagli attacchi diretti dall’interno della città verso il castello, riuscì solo in parte nella sua efficacia difensiva. Non erano state rispettate le regole dell’area militare(Fig.1)che impedivano di costruire edifici più alti del castello e comunque anche la costruzione nelle immediate vicinanze delle strutture difensive, comprese le difese antemurali poste davanti il fossato del bastione rinascimentale. All’alba del 17 agosto i turchi ricominciarono nuovamente a porre sotto assedio il castello, non riuscendo però a entrare all’interno dello stesso. Il castellano, resosi conto della enorme sproporzione tra il numero degli assedianti (migliaia) e le poche decine di soldati che difendevano la fortezza cittadina, trattò con il comandante l’esercito turco Alì Pascià. Antonio Nicastro, nella sua relazione così racconta:“ alle 21 horedelli stesso giorno un gremiale di tela bianca d’una donna sopra un’asta, inarborata per ordine del Castellano, fu al Turco segno di volersi rendere la fortezza a patto”. La resa prevedeva inizialmente, dietro la promessa di 300 ducati, il salvacondotto solamente per la famiglia del castellano e dei soldati spagnoli. Quando però i cittadini, che si erano rifugiati nel castello, si accorsero dell’accordo segreto tra Alì Pascià e il castellano, manifestarono la loro contrarietà e la ferma opposizione all’accordo. Alla fine si riuscirà, dopo una seconda trattativa, di avere “il beneficio comune” e di conseguenza la libertà per tutti coloro che erano presenti nella fortezza. L’incursione terminerà all’alba del 19 agosto quando finalmente le galee turche prenderanno il largo alla volta di Costantinopoli e abbandoneranno la città stremata e distrutta dalla barbarie ottomana. Al termine dell’incursione verranno accusati di tradimento Fernando de Velasco, castellano di Manfredonia, il governatore Antonio Perez e Francesco Carafa governatore della Capitanata. Fernando de Velasco e Antonio Perez furono convocati a Napoli e quindi arrestati. Il castellano verrà assolto e reintegrato nel ruolo. Del governatore Perez non si hanno notizie successive all’arresto. Il governatore Francesco Carafa non solo non venne arrestato ma ebbe i ringraziamenti ufficiali da parte del luogotenente Borgia. Del resto il presunto accordo tra il Duca di Ossuna e Alì Pascià, per il sacco di Manfredonia, è molto probabile che sia artatamente inventato e mirato a far ricadere la responsabilità sul Duca, da parte dei suoi nemici, al fine di provocarne la destituzione (si veda C. Serricchio, Il sacco Turco di Manfredonia nel 1620 in una relazione inedita)3. La pubblicazione della relazione inedita del nobiluomo Antonio Nicastro ha contribuito a fare chiarezza sull’argomento. Dalla lettura della cronaca del Nicastro si evince un comportamento corretto, nella trattativa, tra il castellano e Alì Pascià. Leggendo attentamente il suo scritto non si fa cenno alcuno ad una eventuale intesa traditrice con gli Ottomani. Oltre il Serricchio, anche altri storici come M. Schipa, La Cava e altri escludono il tradimento del duca d’Ossuna. Leggendo la relazione di Nicastro si apprende che fu il castellano che si oppose con i suoi trenta soldati ai ripetuti assalti di migliaia di soldati turchi. Essi tentarono più volte di penetrare nel castello ma furono sempre respinti. Il castello, ristrutturato efficacemente dopo il Sacco del 1528 con l’aggiunta del bastione dell’Annunziata, riuscì nella sua prerogativa di estremo baluardo difensivo della città.

Fig. 2 Paolo Finoglio –Vergine con Bambino e Santa Rosalia.

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, Conversano.

 Le conseguenze del Sacco dei Turchi sulla città di Manfredonia sono di seguito sintetizzati.

1)Sulle fortificazioni della città le conseguenze saranno presto risolte attraverso un abile intervento di riparazione dei danni che non hanno inciso sulla sua impostazione strategico-difensiva.

La città era dotata di una cinta muraria bastionata dotata di tre torrioni casamattati d’angolo e di altri quattro torrioni interposti tra gli stessi. La piazzaforte militare era riuscita nel 1528 a respingere l’attacco dell’ammiraglio Odette de Foix signore di Lautrec. L’unica differenza era costituita dal numero enormemente superiore delle truppe presenti in città (1500/2000) al comando di un grande condottiero, Pier Luigi Farnese, figlio del Cardinale Alessandro Farnese, reduce dal Sacco di Roma. Del resto i turchi entrarono facilmente in città attraverso la Porta di Monte incendiandola e distruggendola. I torrioni e la cinta muraria rimasero sguarniti perché si preferì, giustamente, rifugiarsi nel castello, poiché le poche decine di soldati della guarnigione non erano in grado di difendere le mura della città. L’Area Militare(Fig.1)creata nel Cinquecento per creare uno spazio vuoto davanti al castello sarebbe stata efficace se non si fossero costruite case palazziate al’’interno della zona militare stessa. Infatti sarà proprio dalle case dei Vischi e dei Cessa, lì edificate, che i Turchi spareranno contro il castello. La presenza dei suindicati palazzi costituì un serio danno alla difesa del castello, tant’è che dopo il sacco verranno demoliti. Antonio Nicastro, nella sua relazione, accusa esplicitamente gli ispettori delle fortezze di non aver voluto impedire la costruzione diedifici più alti del castello. Li accusò di aver voluto pensare al loro tornaconto privato piuttosto che al bene pubblico e della Corona.

2)Dal punto di vista architettonico, così come si può facilmente immaginare, le conseguenze dei tre giorni di sacco saranno notevoli. Bisogna però precisare che il tessuto urbano della città medievale ormai era andato quasi completamente distrutto dai precedenti saccheggi. La città doveva avere una popolazione, all’epoca del sacco, di 2400 abitanti circa, poiché secondo quanto riportato da Alfonso La Cava nel 1595 aveva 700 fuochi4. Dopo il Sacco dei Turchi i fuochi si riducono a 387, 1300 abitanti circa, così come rilevato nel 1633.Quello che comunque rimaneva dell’architettura medievale, salvo in buona parte dai precedenti saccheggi, erano alcune costruzioni religiose. Analizziamo quelle che ancora oggi presentano tracce medievali.

La Chiesa di San Domenico era già stata oggetto di ristrutturazione nel Cinquecento poiché apprendiamo da una relazione rinvenuta nell’Archivio della Confraternita del SS. Rosario che << nel 1581 gli stessi Padri Domenicani ridussero la forma dell’edificio sacro ad una navata centrale e ad alcune cappelle laterali sul lato sinistro mentre la parte destra veniva adibita ad ingresso del convento.>>5. La chiesa era già stata precedentemente ristrutturata e l’abside trasformata in torre difensiva. Con il Sacco del 1620 la chiesa deve aver subito seri danni alla sua struttura di copertura. Le volte della navata centrale furono sicuramente danneggiate dai Turchi. Una epigrafe posta all’interno della chiesa sull‘altare di Santa Caterina attesta,dopo un iniziale restauro nel 1635, nel <<1729 la sua intera ricostruzione, con più decoro e restauro in forma più nobile di tutta la chiesa, da parte di D. Dioniso Mettula, nipote del precedente, e di sua moglie D. Teresa Florio, devoti della Vergine, patrona del Casato.>>

Fig. 3 Interno Gotico della chiesa di San Francesco

Nel 1292 si fa riferimento alla presenza della chiesa in Manfredonia secondo quanto riportato dai registri angioini.

Sono evidenti analogie con l’architettura gotica della chiesa di San Domenico. L’ingresso verrà modificato dopo il Sacco dei Turchi, dove era un tempo l’abside della chiesa medioevale.

La Chiesa di San Francesco (Fig.3) presenta ancora attualmente strutture gotiche medievali. Secondo Pompeo Sarnelli l’edificio fu edificato nel 1348 dall’arcivescovo sipontino Pietro II. Tale affermazione viene contradetta dal punto di vista documentale così come è stato messo in evidenza da Pasquale Ognissanti6 in un suo recente articolo. Egli ha fatto osservare che già nel 1292 si fa riferimento ad una chiesa di San Francesco in Manfredonia così come attestato dai registri della cancelleria angioina. Nel 1325 si ha notizia di una chiesa di San Francesco posta di fronte alla ruga de Comite, l’attuale via Tribuna. Del resto dall’analisi delle arcate gotiche ogivali presenti all’interno della chiesa francescana è evidente che vi sono analogie con l’architettura gotica della chiesa di San Domenico (cappelle laterali) e del suo antico abside(Cappella della Maddalena). È possibile quindi ipotizzare che le due chiese siano state realizzate in contemporanea e probabilmente dalle stesse maestranze. La Chiesa e l’annesso convento furono danneggiati durante il Sacco dell’agosto 1620.La chiesa venne ricostruita ad iniziare dal 1664, così come attestato da una iscrizione della famiglia De Angelis posta all’interno dell’edificio, e l’ingresso all’edificio verrà variato così come anche quello del Duomo della città.

Il Duomo Angioino, delle cui dimensioni e forme abbiamo notizie solo attraverso Matteo Spinelli:<<…vide parimenti il Re Carlo nell’anno 1273 il nuovo Duomo Sipontino, che tuttavia si stava edificando con un disegno di un ingegnere francese dell’istessa sua Reale Corte;… a tre navi con il magnifico Cappellone e Tribuna, il qual Duomo era lungo palmi 280.>>7. La lunghezza del Duomo angioino rapportata in metri è di ml. 74,20, la dimensione dell’attuale costruzione è di ml. 54. Metri 74,20 corrispondono all’incirca alla lunghezza del lato maggiore degli isolati della castramentatio rilevabili all’interno del centro storico. È da verificare se il distrutto Duomo angioino era in asse con il decumano della città “ruga de Comite” o se seguisse invece la stessa direzione della basilica paleocristiana di Siponto che era in asse con il decumano massimo di Siponto. Tale ipotesi è da verificare poiché l’orientamento interno di san Domenico è uguale a quello della medievale S. Maria di Siponto e quindi non in asse con i decumani della città. La chiesa di san Francesco è chiaramente orientata in maniera differente rispetto al decumano massimo, la ruga de Comite(Fig.1).

Dopo queste premesse andiamo ad analizzare l’incendio della Chiesa di San Lorenzo (duomo), così come è riportato in un dipinto degli anni trenta del Seicento(Fig.2).

Fig. 4 Particolare del dipinto di Paolo Finoglio –Vergine con Bambino e Santa Rosalia.

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, Conversano.

Si nota la cattedrale di Manfredonia dedicata a San Lorenzo Maiorano da cui fuoriescono fiamme e nello spazio antistante alcuni cittadini inseguiti da uomini con il turbante.  Il punto di vista della tela è posto sulle alture della “Collinetta della Croce”

La Cattedrale di Manfredonia è riportata in una pala d’altare dipinta da Paolo Finoglioe conservata a Conversano nella Chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Si nota l’edificio da cui fuoriescono fiamme e sul davanti antistante l’ingresso della chiesa alcuni cittadini inseguiti dai turchi (uomini col turbante)

(Fig.4). La tela raffigura un episodio della vita del conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona detto Guercio delle Puglie. Il conte era stato a Manfredonia nel 1617, all’età di diciassette anni, con al seguito trecento cavalieri in difesa della città, ma non nel 1620. Il pittore ha voluto rappresentare, su suggerimento ovviamente del committente, la sua impresa di Manfredonia di qualche anno precedente e contemporaneamente il Sacco della città da parte dei Turchi. La chiesa angioina, però, doveva aver subito dei danni e dei lavori di ristrutturazione già nel Cinquecento, poiché in riferimento alla cattedrale si legge nel Privilegio I dell’Imperatore Carlo V del 1533 <<..atteso che la chiesa è ruinata..>>8 e che l’Arcivescovo Bartolomeo della Cueva <<..riparò la medesima..>>9. È quindi ipotizzabile che la cattedrale angioina, al tempo del “Sacco del 1620”, avesse una struttura architettonica diversa rispetto alla costruzione medioevale e sia stata già in parte modificata precedentemente all’incendio dell’agosto di quell’anno. L’ingresso all’edificio doveva essere dal lato opposto a quello attuale, nella piazzetta dove è ubicato il Campanile dell’Orsini(Fig. 5), così come chiaramente documentato dalla tela di Paolo Finoglio (Fig.2-4).

Fig. 5 Vecchio ingresso del Duomo angioino.

La cattedrale dedicata a San Lorenzo Maiorano doveva avere l’ingresso originario da questo lato e l’abside rivolta ad est, come era la norma nel medioevo e come è documentato dal quadro di Paolo Finoglio, Vergine con Bambino e S. Rosalia.

Il punto di vista utilizzato dal pittore è individuabile nelle alture antistanti l’ingresso occidentale della città nei pressi dell’attuale Collinetta della Croce(Fig.1) e il mare posto sulla destra dell’osservatore ne indica inequivocabilmente tale posizione. Del resto, nel Medioevo l’abside delle chiese era sempre rivolta verso est e non, come è attualmente orientato l’edificio, verso ovest (la stessa variazione sarà effettuata nella chiesa dedicata a San Francesco, sempre nel Seicento). I lavori di riparazione iniziarono nel 1624, quando era sindaco il dott. Antonio Capuano, così come è possibile leggere nel contratto di appalto dei lavori tra L’Università sipontina, i fratelli Fidei di Rocca Valleoscura,che erano i costruttori, e il maestro Francesco Abbatecola di Andria. I lavori proseguiranno anche nei decenni e nei secoli successivi fino ad arrivare al’ ’ultimo intervento sulla facciata laterale della cattedrale,negli anni sessanta del Novecento. (Fine terza parte)

(a cura dell’arch. Michele Di Lauro, docente di Storia dell’Arte dell’I.S. “Roncalli-Fermi-Rotundi-Euclide” di Manfredonia) (Il materiale contenuto in questo articolo può essere riprodotto, in tutto o in parte, per scopi non commerciali, purché siano citati l’autore e la fonte)

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1 Anonimo , Relazione ms. XXVI, B,20; Relazion e ms. XXIX, A, 3; Biblioteca Deputazione Società Napoletana di Storia Patria.

2 Antonio Nicastro, Relazione della presa di Manfredonia de’ Turchi, Archivio della Curia Provincializia dei PP. Cappuccini di Foggia, ms.162-169.

3Cristanziano Serricchio, Il Sacco Turco di Manfredonia nel 1620 in una relazione inedita, in Archivio storico Pugliese XL, 1987.

4 Alfonso La Cava, Il sacco turchesco di Manfredonia nel 1620, in Archivio storico per le provincie napoletane, ns. LXV,1940.

5 Antonio Ferrara, Manfredonia, 8 Chiese e l’Episcopio tra Gotico e Barocco, Atlantica editrice, Manfredonia,1979.

6Pasquale Ognissanti, La Chiesa e il Convento di San Francesco a Manfredonia, pubblicato su Stato Quotidiano, il 21/112015.

7Matteo Spinelli, Memorie Storiche dell’Antica e Moderna Siponto, Manfredonia, 1785, Mmss. Presso le Civiche Biblioteche unificate di Manfredonia, vol. V, pag. 12.

8Pasquale Ognissanti, L’Università Sipontina nel ’500, Manfredonia, 2002, pag. 213.

9 Matteo Spinelli op. cit. III, pag. 358-359.

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