Da dove inizia il decoro di una Provincia? Di certo dalle sue contrade ma soprattutto dall’habitat del suo capoluogo che guida l’identità delle sue comunità. Foggia, capoluogo caduto in rovina, è precipitato così in basso da risultare il penultimo comune d’Italia per qualità della vita. E a rimetterci, questo il punto, non sono solo i foggiani, ma tutti gli abitanti della Capitanata. Basti pensare al viandante che arriva oggi a Foggia e mette piede al di fuori della Stazione, ubicata nel cuore della Città. Parlare della storia del Quartiere Ferrovie di Foggia è come aprire una pagina triste e dolorosa di una Città che ha scelto nel suo declino di raccontare un futuro che sembra non esserci più. E già perché quel viale, un tempo bel salotto di una Foggia semplice, ma anche austera e dignitosa è oggi irriconoscibile, inguardabile! Un degrado che pesa sulla coscienza di governanti che sarebbe ormai lungo e penoso passare in rassegna. La memoria che non cancella torna impietosa a ricordare quelle passeggiate domenicali lungo il Viale XXIV maggio. Era il luogo d’incontro preferito delle giovani generazioni. Allora si diceva “ci vediamo domenica a Foggia”. Altri tempi! Ed era tutto un fiorire di emozioni, di colori e di eleganza. Boutique scintillanti, negozi splendenti, il mitico hotel Cicolella e il grande albergo Sarti e poi, uno dietro l’altro, bellissimi ritrovi. Dal bar Venezia al bar della Posta, dal bar Imbriani al bar Ruocco e al bar Gloria sino al monumentale palazzo dell’acquedotto e alla sede della Banca d’Italia che sorgeva dove una volta c’era la scuola Garibaldi. Al centro la grande Telecom e, nei pressi, il teatro Flagella, mentre sul fondo il Cine Teatro Ariston e la Chiesa Madonna della Croce. E c’era anche lo studio di Vanni Natola, fotografo di Miss Italia. Parlare con chi ha vissuto, dato vita a quegli angoli di eleganza è impresa ardua. Albertino Cicolella, la famiglia Merli, persino il dottor Sergio Di Gioia, storico farmacista del viale, preferiscono chiudersi in un silenzio socratico. E dire che fu proprio lui, Sergio Di Gioia, signore d’altri tempi, a suggerire la nascita di un orto botanico per non vedenti che sorse nella Villa comunale della Città, segno tangibile di quel senso di appartenenza che è svanito, stracciato dall’ignoranza di avventurieri della politica che hanno messo in ginocchio una Città. Atti alla mano, gli ultimi interventi destinati al decoro del viale della stazione risalgono a 35 anni fa. Si chiamava Mimmo Verile l’assessore, poi divenuto Sindaco, che nel 1987 intervenne con decisione per l’illuminazione, la pavimentazione, corredando di panchine un viale e rimettendo a nuovo un intero quartiere. Di tutto questo non c’è più nulla, tranne il ricordo ed insieme la rabbia per non essere riusciti a fermare quel degrado lento ed irreversibile. Palazzi che raccontano una sontuosità passata abbracciano oggi case che non valgono più niente mentre una fila di serrande chiuse è lì a descrivere un grigiore che rispecchia una contaminazione culturale e sociale da brivido. E tutt’intorno, da via Piave a via Montegrappa, da via Monfalcone a via Isonzo il quartiere si mostra stravolto. Sino a via Podgora, uno scempio a cielo aperto. È questo lo specchio di una provincia alla ricerca della sua identità perduta.
di Micky dè Finis