Di solito e in pressoché tutti gli ambiti non solo lavorativi, i primi cento giorni servono per esprimere il meglio di sé proprio a ragione dello sprint riveniente dalla nuova attività cui si è adibiti. È insomma il periodo dal cui andamento si traggono gli auspici per il proseguimento della funzione assegnata. Un periodo di prova a tutti gli effetti. Che può concludersi al termine di quei fatidici cento giorni od anche prima; oppure proseguire. Almeno nei settori privati. In quelli pubblici è diverso. Come ad esempio per le amministrazioni comunali di prima elezione. Quei fatidici cento giorni servono per tastare il polso degli amministratori, constatarne le capacità, intravvedere se faranno bene oppure no. Unica differenza rispetto al privato è che comunque vada, il periodo di prova si dilaterà fino alla fine del mandato: solo allora ci sarà il verdetto sull’operato per mano degli elettori. Come ben noto, Manfredonia ha rinnovato l’assetto amministrativo comunale e i cento giorni sono anche trascorsi e superati. Un periodo di prova che non ha espresso quanto meno chiari e inequivocabili segni dai quali poter trarre un giudizio quanto meno provvisorio. Non è emersa alcuna strategia politica-economica (non fanno testo lo sfalcio delle siepi e la potatura degli alberi). Purtroppo va preso atto che i nuovi inquilini di Palazzo San Domenico non hanno fatto segnare quella svolta che li distanziasse o ancor meglio distaccasse se non proprio dalla precedente sciagurata esperienza amministrativa, almeno dalla tribolata e ambigua campagna elettorale. Una volta cessate le “ostilità”, abbandonate le “armi” propagandistiche, il popolo manfredoniano si aspettava dai rappresentanti mandati in Municipio, e dunque maggioranza e minoranza, che avessero quale stella polare del rispettivo mandato quella del bonus pater familias ove familias sta per cittadini, per amministrati fiduciosi nel ben fare dei propri rappresentanti. Invece no, le attese di vedere finalmente nel Palazzo di Città la fucina ove studiare, progettare, programmare, realizzare, magari con il concorso collaborativo di tutti, sono andate fin qui deluse. La litigiosità fra gli opposti (ma solo per impostazione della democrazia) schieramenti si è manifestata in tutta la sua deleteria infruttuosità. Si è instaurata una perniciosa incomunicabilità a tutto danno delle cose da fare. E sono tante e di grave importanza. Dei bisticci fino alla lite in consiglio comunale sono noti avendoli seguiti anche sul web; non meno edificanti sono i comunicati incrociati con i quali la minoranza-opposizione incalza la maggioranza di governo sulle cose da fare. La conclusione ad oggi è che non si riesce a capire quale sia l’orientamento dell’amministrazione comunale, quali le azioni da intraprendere. Non ha soccorso granché la presentazione in consiglio delle linee programmatiche che il governo cittadino intende seguire dal momento che sono quelle pedissequamente riprese dal programma elettorale. In questi ultimi giorni, all’ennesimo invito della minoranza a conoscere quali siano le operazioni cui è intenta la squadra di governo, c’è stata l’unica risposta dell’assessora al welfare che ha tracciato un elenco dei progetti cui è intenta. Una lista tutta da verificare. Nessuna indicazione dagli altri settori. Nell’immaginario collettivo si pensa ai responsabili di giunta intenti a dare corso agli “atti” esecutivi dell’attività amministrativa e che si spera possano ben presto essere resi noti al pubblico. È il meno che la popolazione si attende.
di Michele Apollonio