Per qualche strana e ancora incomprensibile ragione, Manfredonia è come una macchina che non riesce a rodare bene e per questo è spesso in assistenza o in riparazione. Oppure, Manfredonia potrebbe essere paragonata ad una meravigliosa perla che non riesce a valorizzarsi poiché rinchiusa in un guscio grezzo e ruvido che la tiene prigioniera di esprimere tutte le sue sfumature. Una città che potrebbe manifestare, più di quanto già fa, le molteplici peculiarità, ma che stenta a sollevarsi perché non riesce a trovare quell’organizzazione necessaria ad acquisire dinamismo e socializzazione. Non possiamo dire che non ci abbia provato e che non si stia continuando a farlo, ma pare che tutto sia proprio, troppo difficile. Abbiamo provato a fare industria, senza tener conto della disgrazia Enichem, ma stiamo provando a fornire di infrastrutture l’area industriale da oltre 20 anni. L’effetto è un pesantissimo ritardo nello sviluppo e nell’accoglienza di quelle medio-piccole aziende, compatibili con il nostro territorio. Uno dei settori più trainanti dell’economia locale era la pesca, eravamo la terza flotta peschereccia d’Italia, ed oggi? Un settore legato al mare, fiore all’occhiello della nostra cultura produttiva che vive continuamente in crisi, ma che, nonostante la produzione di pesce del Golfo di Manfredonia, è enormemente ricercata dal mercato. Un paradosso. L’“industria” ospedaliera ambito primario nella nostra vita quotidiana che proprio non ce la fa a trovare una dimensione, un’identità. Il turismo che affolla i nostri fine settimana, tutto l’anno e soprattutto d’estate, che si scontra con i disagi dei pochi parcheggi disponibili e della scarsa accoglienza, nonostante l’alto livello di offerta gastronomica proposta dalla ristorazione sipontina. Una città che spesso e volentieri non è pulita come si desidererebbe, frutto soprattutto di un’inciviltà troppo diffusa e con una Riviera Sud ancora da colonizzare e riorganizzare. La Cultura ancora tutta da strutturare che vede rade preziose iniziative teatrali e poco altro, lasciando ancora troppi giovani disorientati ed isolati, orfani di opportunità per socializzare in contesti aggregativi ed associativi che spesso stimolano la voglia di costruire a casa propria, nella propria terra. Il momento pandemico non ha aiutato anzi ha impigrito ancora di più i soggetti che dovrebbero svolgere il ruolo di educatore e formatore. Manfredonia non è una città per giovani anche se per natura lo è. Ci sono innumerevoli strumenti di sostegno pubblico, “finanziamenti”, per rendere la propria idea realtà, ma spesso si ha paura di mettersi in gioco perché la paura di fallire è più forte del piacere di riuscire. Il nostro Pil pro capite resta sempre la metà di quello delle regioni del Nord. Il tasso di occupazione è cresciuto quattro volte meno rispetto alla media nazionale. Continua l’emigrazione sistematica dei giovani, nonostante la nostra terra sia fertile e fortemente produttiva. Ci giriamo attorno perché non abbiamo ancora capito che dobbiamo guardare avanti.
di Raffaele di Sabato