Aumenti a due cifre per le esportazioni del lattiero-caseario, agli allevatori nemmeno le briciole
Il report provincia per provincia dell’organizzazione sindacale degli agricoltori
Al latte alla stalla riconosciuto un centesimo di aumento, al supermercato +15 centesimi
Vola l’export dei prodotti caseari pugliesi, resta a terra invece il prezzo del latte alla stalla che è all’origine di quel successo senza però raccogliere ‘dividendi’. Dall’autunno dell’anno scorso, si è ulteriormente ampliato il divario tra chi guadagna tanto e chi ha difficoltà a coprire i costi di produzione. Al supermercato, a novembre scorso un litro di latte fresco di buona qualità costava 1,65 euro, adesso è ulteriormente aumentato arrivando a toccare anche un euro e ottanta centesimi; lo stesso latte, lo scorso autunno veniva pagato al produttore 40 centesimi e oggi 41: un ‘aumento’ misero, irrilevante, che sa di beffa sia di fronte ai guadagni di trasformatori e Grande Distribuzione sia davanti ai rincari folli dei costi di produzione.
BARI, ALLEVATORI NEL TRITACARNE. Gli accordi, sia quello raggiunto in Puglia sia l’intesa a livello nazionale, sono rimasti lettera morta. Nell’area metropolitana di Bari, gli allevatori si trovano tra l’incudine di prezzi troppo bassi riconosciuti al latte alla stalla e il martello di costi insostenibili su mangimi, energia elettrica, materie prime, carburante.
BRINDISI E TARANTO. Stessa situazione nell’area della Murgia Tarantina e nel Brindisino, proprio laddove la qualità del latte alla stalla raggiunge livelli di assoluta eccellenza, come nella Murgia barese. Di questo passo gli allevatori saranno costretti a chiudere o a contrarre fortemente gli investimenti, e questo naturalmente avrebbe ripercussioni drammatiche sia dal punto di vista economico-occupazionale sia sugli stessi standard qualitativi del prodotto.
FOGGIA E BAT. Sul Gargano, dove si concentra il maggior numero di allevamenti bovini del Foggiano, e nella BAT le cose non vanno meglio. Senza il latte prodotto dagli allevatori non c’è burrata, non ci sono mozzarelle e caciocavallo, la filiera si ferma. A quel latte, al buon latte pugliese, e al lavoro necessario per ottenerlo – dalla nutrizione e cura degli animali alla gestione degli impianti, fino agli stipendi dei dipendenti – deve essere riconosciuto il giusto valore.
SALENTO NELLA MORSA. Soffre degli stessi mali la zootecnia salentina, stretta nella morsa di rincari, prezzi bassi del latte alla stalla e difficoltà aggiuntive dovute a siccità ed eventi climatici estremi degli ultimi mesi. Il protocollo d’intesa regionale, sottoscritto dai rappresentanti di tutta la filiera lo scorso ottobre, aveva generato qualche speranza, ma gli accordi non sono stati rispettati, si specula sulla necessità dei produttori di vendere il prodotto per recuperare almeno in parte le ingenti spese di produzione.
SETTORE COL FIATO CORTO. “La situazione è pressoché la medesima in ciascun territorio della Puglia da cui ci arrivano giornalmente segnalazioni di difficoltà crescenti e drammatiche”, ha dichiarato Raffaele Carrabba, presidente regionale di CIA Agricoltori Italiani della Puglia, l’organizzazione sindacale degli agricoltori che da anni sta lavorando all’aggregazione delle imprese agricole e zootecniche per rafforzarne il potere contrattuale, l’implementazione di filiere complete che accresce il valore aggiunto, l’internazionalizzazione delle aziende. “L’aumento di uno o due centesimi riconosciuto ai produttori è stato ampiamente fagocitato dai rincari molto più consistenti di energia elettrica, gasolio, mangimi, concimi e materie prime. Per andare oltre la sopravvivenza stentata e scongiurare il rischio chiusura, bisogna aiutare le imprese agricole a essere davvero le principali protagoniste di una svolta. I livelli istituzionali, però, devono darci una mano, altrimenti l’impoverimento economico e occupazionale rischia di trasformare la Puglia in un deserto”, ha concluso Carrabba.