Questa mattina i carabinieri del R.O.S, col supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri territorialmente competenti e dello Squadrone Carabinieri Eliportato Cacciatori “Puglia”, hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal Gip del Tribunale di Bari, su richiesta di un pool di magistrati della Direzione Nazionale e della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, a carico di 32 soggetti indagati a vario titolo per associazione mafiosa aggravata dalla disponibilità di armi, traffico di stupefacenti, tentato omicidio, porto abusivo e detenzione di armi, intestazione fittizia, autoriciclaggio, favoreggiamento personale, estorsioni, truffe aggravate, furto aggravato e ricettazione, aggravati dal metodo mafioso e compiuti al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa operante nel comprensorio garganico di Manfredonia, Mattinata, Monte Sant’Angelo (fraz. Macchia) e Vieste.
Si tratta di un sodalizio, a suo tempo facente parte di un più vasto aggregato criminale riconducibile ai “Montanari”, che, secondo le acquisizioni investigative accolte dal gip, in un’ideale continuità evolutiva, rappresenterebbe l’attuale assetto della componente facente originariamente capo alla famiglia Romito. Secondo l’impostazione accusatoria, l’organizzazione, a seguito della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, in cui perse la vita, si sarebbe rimodulata in una compagine che può essere ribattezzata clan “Romito-Lombardi-Ricucci”.
I provvedimenti scaturiscono da un’indagine del R.O.S., da cui emergono gravi indizi a carico di Matteo Lombardi e Pasquale Ricucci quali figure di vertice (capi) del clan (Ricucci ucciso l’11 novembre 2019) e di Pietro La Torre “U’ Muntaner”, gravemente indiziato di rivestire il ruolo di organizzatore con funzioni di raccordo tra i vertici e le diverse articolazioni territoriali e di coordinamento delle attività svolte dal sodalizio. Secondo l’impostazione accusatoria accolta dal gip, l’organizzazione avrebbe natura mafiosa, fondata essenzialmente sul vincolo familiare tra i vertici del sodalizio criminale: grazie ad una fama criminale acquisita per avere rivestito nel tempo un ruolo di primo piano nel percorso evolutivo della mafia garganica e protetti da una diffusa sensazione di impunità oltre che da una generalizzata condizione di assoluto assoggettamento ed omertà, i componenti dell’odierna associazione mafiosa, dopo gli esiti del processo Iscaro-Saburo, risultano aver consolidato la capacità di controllo egemonico del territorio, sviluppando e strutturando ulteriori legami con esponenti del territorio, in particolare di Mattinata, quali Francesco Pio Gentile detto “Rampino” (cugino di primo grado dei fratelli Romito), Antonio Quitadamo, Francesco Notarangelo e Francesco Scirpoli, estendendo il comparto territoriale di competenza sino a Vieste, attraverso Marco Raduano, Danilo Della Malva (pentito di recente) e Giuseppe Della Malva. Proprio il controllo della città di Vieste, attesa la sua rilevanza strategica nell’ambito del narcotraffico, è diventato un obiettivo primario del suddetto sodalizio, generando una feroce contrapposizione armata, con la consumazione – secondo gli indizi raccolti – di oltre 20 gravissimi fatti di sangue negli ultimi cinque anni.
Le complesse indagini hanno consentito di acquisire elementi gravemente indiziari, sotto il profilo funzionale, del salto di qualità del sodalizio mafioso, capace di associare ad un modello di mafia militare un più evoluto schema operativo di mafia degli affari, con una penetrante capacità di infiltrazione nel comparto agroalimentare legato alle principali risorse del territorio (la pesca e l’agricoltura). In particolare, sono emersi gravi indizi in ordine: al controllo del commercio ittico di Manfredonia, per la vendita all’ingrosso e al dettaglio di pesce, esercitato attraverso due imprese, la Primo Pesca srl e la Marittica Soc. Coop., entrambe intestate a terzi, ma di fatto gestite da soggetti intranei all’articolazione criminale investigata, con l’assunzione di una posizione di monopolio, ottenuta smantellando la concorrenza mediante l’utilizzo della forza di intimidazione.
A tal fine si sono palesate forme di assoggettamento violento nei confronti dei pescatori costretti a consegnare il pescato in via esclusiva alla società Marittica le cui operazioni di controllo venivano svolti da soggetti che presidiavano la banchina del porto di Manfredonia; dei venditori al dettaglio obbligati, a loro volta, ad acquistare i prodotti dalla Marittica a prezzi non concorrenziali (tra cui cassette di polistirolo, ghiaccio e pescato); nonché una serie di azioni ritorsive attribuite indiziariamente a Michele Lombardi per far desistere chiunque avesse lecito interesse a sfruttare parte dello spazio demaniale ritenuto utile dal Lombardi per esercitare l’impresa di commercio all’ingrosso di pesce. Emblematica, a tal riguardo, la frase proferita da La Torre nel corso di una delle conversazioni captate durante la fase d’indagine in cui, a riscontro della tracotante supremazia del gruppo criminale nel comparto della pesca, l’indagato affermava perentoriamente: “Il mare è nostro”.
C’è poi il controllo di taluni ambiti del comparto agro-pastorale, con la consumazione di attività estorsive e di truffe in danno dell’INPS mediante indebita percezione di provvidenze. L’infiltrazione in quest’ultimo settore, secondo le investigazioni convalidate dalla ordinanza cautelare, si è realizzata attraverso: l’acquisizione di terreni mediante titoli di possesso, in forza dei quali richiedere i sussidi della Politica Agricola Comune dell’UE, in particolare tramite imprese agricole costituite ad hoc. L’occupazione di terreni e immobili ubicati in agro di Mattinata da parte dei fratelli Quitadamo, ottenuta facendo leva sull’esasperato clima di terrore imposto dagli stessi ai legittimi proprietari, da cui è derivato un indiscriminato sfruttamento di vaste porzioni di territorio a vantaggio delle attività di allevamento delle imprese riconducibili al sodalizio mafioso indagato. L’attività estorsiva realizzata mediante l’imposizione di assunzioni lavorative di soggetti vicini o comunque assoggettati all’organizzazione, al fine di percepire provvidenze da parte dell’Inps per centinaia di migliaia di euro.
Sono stati raccolti gravi indizi in ordine all’operatività criminale del sodalizio mafioso: nel settore del traffico di stupefacenti, in particolare cocaina, realizzato mediante una rete di spacciatori costretti a versare periodicamente all’associazione mafiosa una sorta di provvigione sull’attività illecita, esercitando la gestione delle floride piazze di spaccio di Manfredonia e Vieste; nel settore della ristorazione, riciclando denaro di provenienza illecita attraverso operazioni finalizzate ad ostacolare l’identificazione del denaro impiegato nell’attività economica sfruttando l’assoggettamento di professionisti locali in favore del sodalizio; nel settore degli assalti ai portavalori, realizzati mediante l’interazione con altri gruppi criminali. Infine, sono emersi gravi indizi in ordine ad allarmanti collegamenti con altre temibili compagini mafiose presenti sul territorio, in particolare con la batteria Moretti-Pellegrino-Lanza della “Società Foggiana”.
Nel corso dell’operazione il Ros ha dato esecuzione a 13 provvedimenti di sequestro preventivo di beni mobili e immobili e “per equivalente”, fino alla concorrenza complessiva di 6 milioni 945 mila euro circa, a carico degli indagati, quale quantificazione del profitto dei reati accertati negli specifici settori. L’odierna operazione costituisce ulteriore importante progressione della manovra investigativa e giudiziaria tesa a contrastare le attività mafiose nel comprensorio garganico, evidenza tangibile dell’attenzione e dell’impegno messi in campo da parte dello Stato per l’affermazione della legalità, con un’azione sinergica di Procura Distrettuale e Procura Nazionale.