LA QUESTIONE ex stabilimento Enichem e dunque area industriale di Macchia, è tra i temi dibattuti in questa campagna elettorale manfredoniana nella quale gli aspetti spuri, improvvisati e riutilizzati, creano scenari e atmosfere fumose e artefatte per mascherare deficienze e lacune se non proprio incompetenze e dilettantismo e dunque deviare da quelli che sono gli aspetti reali e concreti dei problemi sul tappeto.
IN QUESTO gran calderone ribollente è stato tirato in ballo l’arcivescovo padre Franco Moscone. O meglio, sono state subdolamente interpretate alcune sue considerazioni fra le tante che da quando è arrivato a Manfredonia dall’operoso Piemonte, orsono circa tre anni, ha espresso sulla condizione socio-economica-spirituale della diocesi e dunque di Manfredonia e dei suoi abitanti, considerazioni e riflessioni in maniera esplicita e realistica, nella prospettiva di indicare la retta via da seguire.
TRA le sue osservazioni di grande sensibilità anche quelle riferite al Creato, all’ambiente e dunque alle problematiche che la minacciano. «La questione ambientale del territorio, la salute dei cittadini, la salvezza del Creato – scrive nella lettera pastorale del 16 settembre scorso – richiedono cura rispetto dei beni comuni; dobbiamo imparare a vedere la loro bellezza e delicatezza nella quotidianità del vivere. Impegniamoci perciò – esorta – a proteggere noi stessi e il Creato anche dalle nefaste forze di chi con insensati gesti ci minaccia e vuol farci capire che ha le mani sul territorio e che intende ancora una volta sopraffare tutti e tutto».
PREMESSA al suo accorato «invito urgente al dialogo sul modo con cui stiamo costruendo il futuro del nostro territorio». E lungi dal fare «osservazioni di tipo “politico” che spettano alle autorità democraticamente istituite», con riferimento alla secolare diatriba sui confini della piana di Macchia con Manfredonia, annota che «Forse è tempo di pensare anche alla modifica dei confini delle istituzioni comunali rimasti fermi all’età del ventennio fascista. Di sicuro – aggiunge – sarebbe più coinvolgente e responsabile se l’area industriale ex Enichem, dismessa e non del tutto bonificata e a continuo rischio “bomba ecologica”, passasse all’amministrazione di Manfredonia».
SOLO un suggerimento del Presule preoccupato delle sorti del proprio popolo «dato forse da uno che non ha le competenze o il diritto di farlo» appunta l’arcivescovo, che ha provocato la stizzita e avventata reazione del sindaco di Monte Sant’Angelo Pierpaolo D’Arienzo, che ha definito le parole dell’arcivescovo «una provocazione al territorio». Contro tale interpretazione è insorta “La Rinascita possibile” di Monte che ha accusato il sindaco D’Arienzo di non avere «la statura culturale necessaria per difendere la propria comunità».
Probabilmente si sarebbe evitata una speculazione in termini se si fosse letto fino in fondo la riflessione dell’arcivescovo allorquando coerentemente rileva: «credo pure che sarebbe più corretto se la borgata di Borgo Mezzanone, con tutta l’area della ex pista dismessa dall’aeronautica diventata campo-ghetto, fosse alla dipendenze del comune di Foggia».
Un quesito reale sul quale incombe l’ombra di un errore storico, che anziché essere oggetto di strumentalizzazioni più o meno politiche, andrebbe affrontato una volta per tutte seriamente con sostegni politico-giuridici adeguati e non con proposte ad uso elettoralistico. Come quella avanzata dal candidato sindaco Gaetano Prencipe che ha lanciato l’idea di “commissariare” quell’area e affidarla al futuro sindaco di Manfredonia. Una proposta bocciata dalla candidata sindaca Giulia Fresca. «Il Sin – ha spiegato – è un sito di interesse nazionale gestito dal ministero: non è possibile che il ministero commissari sé stesso. Il richiamato caso di Bagnoli è ben diverso e in ogni caso lì non si è trattato di commissariamento».
La storia è da ritenere non finisce qui, anzi.
Michele Apollonio