PONTIFICALE DELLA MADONNA DI SIPONTO 2021
Omelia di p. Franco Moscone crs
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo cantato con insistenza questa mattina l’alleluia, la parola di Pasqua, perché questa giornata è per Manfredonia e le sue chiese la propria Pasqua annuale, che la identifica come credente, testimone, discepola e missionaria del Signore risorto in questo territorio ed in questo ambiente.
Come cantiamo nell’inno (e lo abbiamo fatto ieri sera ai primi vespri), guardiamo a Maria come stella che ci indica la strada e che ci dice le parole adatte, corrette ed uniche per essere testimoni, discepoli e missionari, e guardando a Lei stella formiano, come popolo credente e santo di Dio, la sua corona. La corona da portare alla Vergine di Siponto siamo noi, il nostro popolo, noi qui presente in questo momento e quanti ci vorrebbe essere. Siamo noi, e lo riconosco come vescovo e pastore, in questo momento tutti insieme, con il fratello vescovo Paolo, con il presbiterio della nostra diocesi e della Città, con i seminaristi e chi si impegna nel servizio liturgico, con tutto il popolo di Dio consacrato nel battesimo, nel saramento nuziale o impegnato semplicemente nella testimonianza personale. Di questo ne dobbiamo essere profondamente coscienti e convinti. Siamo qui, in Manfredonia, la corona della Vergine di Siponto, nonostante tutte le nostre debolezze ed incongruenze e le tante anti-testimonianze che possiamo dare e di cui dobbiamo sempre renderci conto e batterci il petto.
Quest’anno ho voluto cambiare il testo del Vangelo. Solitamente ascoltiamo il testo dell’Annunciazione. Ho preferito il testo giovanneo così detto delle “nozze di Cana”, perché è l’unico che ci presenta le parole di Maria al di fuori del periodo dell’infanzia di Gesù. Sono 9 paroline, monosillabi, dette con velocità, ma con estrema efficacia. Le prime sono “il vino non c’è più”: Maria ci invita a prendere coscienza, a fare chiarezza sulle nostre situazioni, sempre. Per prima cosa ci invita a renderci conto di ciò che ci manca, per nostra incapacità o per qualsiasi altro motivo, legati al fatto che siamo creature e non creatori.
Che cosa ci manca? In quest’anno abbiamo seguito nel cammino pastorale della diocesi i 4 sogni indicati da papa Francesco nell’esortazione apostolica “Querida Amazonia”, che abbiamo trasformato in “Amato Gargano”.
Un sogno sociale, il sogno non è un incubo, è un impegno, è una profezia, è un orizzonte verso cui mirare. Il sogno sociale è lottare per in diritti dei più poveri e degli ultimi, che sono già nel nostro territorio o che lo vogliono raggiungere. Domandiamoci: quanto vino manca – socialmente – alla nostra Città, al nostro territorio e alla nostra Chiesa per essere veramente una società a servizio dell’umanità che ci vive, senza fare preferenze e dare i diritti sempre agli stessi e rifiutando di accogliere chi ha bisogno di aiuto. Un sogno ed un impegno sociale che, senza dubbio, è mancante di vino, ma possiamo metterci l’acqua del nostro impegno e della nostra volontà, delle nostre capacità, ed il Signore farà la sua parte, cambiandola in vino.
In questi giorni siamo tutti presi dalle immagini che provengono dall’Afghanistan. La Puglia ed il nostro Gargano, con le sue chiese, è la parte più orientale d’Italia. È come un ponte lanciato dal Mediterraneo verso i Balcani ed i popoli dell’Asia, verso i profughi ed i perseguitati. Una regione ed una chiesa che nel 1991 hanno dato un esempio stupendo di accoglienza e di amore verso i profughi provenienti dall’Albania. A 30 anni di distanza credo che siamo chiamati a mantenere questa nostra vocazione di accoglienza. Le nostre chiese di Puglia, la nostra chiesa di Manfredonia Vieste San Giovanni Rotondo ha e può avere questa vocazione di accoglienza, insieme alla società civile di cui fa parte: ha strutture, mezzi e buona volontà e se si allea in maniera corretta trasformerà questo sogno in autentica accoglienza e in capacità di offrire diritti autentici e aperti per tutti. Ridonerà alla nostra Città quel volto civile che è stato deturpato negli ultimi anni.
E c’è un sogno culturale, c’è da difendere la nostra grande tradizione, che non può essere tradizionalismo, ripetizione pedissequa, sempre e comunque, delle stesse cose. Forse la pandemia è uno scrollone perché la nostra tradizione si liberi da tanta cenere e ridia voce, calore e luce al fuoco che la tradizione contiene, che è fuoco di Vangelo e di bellezza.
C’è un sogno ecologico nel custodire la bellezza incredibile ed unica del nostro ambiente e della nostra storia. Abbiamo vissuto momenti tristissimi: tra un mesetto ricorreranno i 45 anni della famosa esplosione della torre dell’Enichem e del disastro ecologico della nostra Città di cui ancora portiamo i segni e da cui non ci siamo liberati dalle conseguenze nefaste. Abbiamo bisogno di trovare il vino nuovo che salva e custodisce il nostro ambiente, unico e che tutti ci invidiano. Abbiamo le possibilità e la dobbiamo trovare in noi, perché siamo noi, e non altri, i custodi di questo meraviglio giardino che è il golfo di Manfredonia ed il Gargano.
Infine, quello che ci tocca di più come uomini di Chiesa, è il sogno ecclesiale. Quanto ci manca di vino vero perché la nostra chiesa sia veramente Chiesa e non, come anche qui, segno di una tradizione antica, diventata tradizionalismo. Anche qui la pandemia ha scosso il nostro albero: se ha fatto rimanere aderenti all’albero i germogli vivi e le foglie non secche, allora siamo nelle condizioni di ridare il vino nuovo alla nostra Chiesa. Un vino fatto di testimonianza autentica, di fraternità (che forse è ciò che ci manca di più, ma sarà sempre così in tutte le epoche ed in tutte le generazioni). Abbiamo bisogno di versare questo vino nella nostra chiesa: allora diventeremo veramente icona; ed anche se ci sembra di essere meno numericamente, ridotti di un terzo rispetto al tempo precedente all’epidemia, saremo più autentici, attraenti e significativi. Dobbiamo muovere, attraverso la nostra autenticità evangelica, la mente e le emozioni degli altri: diventeremo non proselitisti, ma attrattivi.
Tutto questo è possibile alla condizione di seguire le altre 6 paroline, dopo le prime 3 di presa di coscienza delle nostre mancanze “non hanno più vino”, che Maria dice ai servi: “qualunque cosa dice, fatelo”. Il Signore ci dice di essere innanzitutto “diaconi”, termine tradotto nel testo con “servitori” o “servi”. Essere servi di questa Parola, essere servi di questi sogni, di questo mondo di oggi e di questa Chiesa. Ed allora anche per noi, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, “vivremo la pienezza del tempo” (cf. Gal 4,4). Questo dobbiamo chiedere a Maria. Se faremo questo anche per noi, come i diaconi/servitori di quella giornata a Cana, l’acqua della nostra mancanza si trasformerà in vino buono (letteralmente nel testo è scritto “vino bello”). Quando il vino è buono è anche bello alla vista e profumato ed in qualche modo aiuta anche l’ascolto perché, se bevuto in modo corretto, crea fraternità e gioia.
Che la festa di Maria, Vergine di Siponto, nostra Regina e patrona, ci aiuti a vivere questa grande scommessa evangelica. E saremo veramente diaconi, discepoli, testimoni, missionari del Signore risorto nella pienezza del tempo di oggi e nella nostra Città e nel nostro ambiente. Amen.
Foto Leonardo Ciuffreda