Nei primi anni di esecuzione, la tecnica, finora disponibile solamente in 3 istituti italiani, ha ottenuto una risoluzione dell’aritmia nell’80% dei casi
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Nella sala operatoria della Cardiochirurgia dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza è stata eseguita per la prima volta, su due pazienti di 41 e 45 anni, la tecnica di ablazione definita “Convergent”, la più innovativa metodica mininvasiva per la Fibrillazione Atriale (FA) che combina il lavoro del cardiochirurgo e quello del cardiologo elettrofisiologo.
La FA è un tipo di aritmia che causa irregolarità nel ritmo cardiaco e che, pur non essendo rischiosa di per sé, può causare eventi trombotici e coaguli che se finiscono in circolo possono provocare anche ictus cerebrali o ischemie. La FA viene solitamente trattata con terapia farmacologica o mediante cardioversione elettrica. Quando non basta bisogna ricorrere all’ablazione.
La nuova tecnica di ablazione, eseguita a San Giovanni Rotondo dal cardiochirurgo francese Kostantinos Zannis, primario dell’IMM di Parigi, e dal cardiochirurgo di Casa Sollievo Michele Palladino, è applicabile soltanto ai casi di Fibrillazione Atriale isolata, cioè non associata a patologia valvolare e si sta diffondendo anche grazie alla possibilità di eseguire l’intervento di ablazione evitando la sternotomia (apertura dello sterno).
La “Convergent” si articola in due fasi: in sala operatoria il chirurgo effettua, con un accesso mininvasivo, una ablazione con radiofrequenza della parete posteriore dell’atrio sinistro del cuore per isolare le aree che generano l’impulso elettrico “errato”, i cosiddetti “foci aritmogeni”; a distanza di 3 mesi, il lavoro viene completato dal cardiologo elettrofisiologo che effettua una ablazione transcatetere delle vene polmonari con crioablazione.
«Questa nuova metodica completa il ventaglio di trattamenti che siamo in grado di offrire per trattare la FA – ha spiegato Mauro Cassese, che dirige l’Unità di Cardiochirurgia dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza –. In questi primi anni di esecuzione della nuova metodica, che fino ad ora in Italia era disponibile solamente in altri 3 istituti ospedalieri, è emerso che da questa sinergica collaborazione cardiochirurgo-elettrofisiologo si ottiene una risoluzione dell’aritmia in circa l’80% dei pazienti trattati. Vanno sottolineati ‒ ha concluso Cassese ‒ anche i risvolti positivi per il paziente che, oltre ad eliminare il rischio tromboembolitico, potrà sospendere la terapia anticoagulante e con i beta-bloccanti, che hanno un impatto considerevole sulla qualità di vita».
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