San Lorenzo Maiorano, l’amato patrono di Manfredonia, si festeggia il 7 febbraio giorno, della sua morte, avvenuta presumibilmente nel 545. Pur essendo patrono, come la veneratissima Madonna di Siponto, questo santo non viene festeggiato con la stessa fastosità. Il 7 febbraio è un giorno di festa, sì, ma al di là della piccola processione, per tanti è solo un giorno di vacanza. Tuttavia San Lorenzo è un santo molto amato dai manfredoniani, nonostante abbia la nomea di “amande di frustire”, e a lui sono legate tradizioni e racconti perduti nel tempo. Ne abbiamo raccolto qualcuno. Il giorno di San Lorenzo è tradizione mangiare a pranzo la pasta con la ricotta. Questo pare legato al fatto che, come abbiamo già detto, il Santo viene trattato come un patrono di seconda classe, e quindi un “Santo di ricotta”. Alla processione è legata una credenza popolare derivante dall’usanza di rivolgere la statua del santo verso il mare per la sua benedizione, quando si trovava nei pressi della chiesa Stella Maris, quindi verso quella strada che oggi si chiama Via del Porto. Pare che al momento della benedizione, in assenza di vento, la caduta della mitra del santo venisse considerata un cattivo presagio. La statua di San Lorenzo è raffigurata nell’atto di benedire; il santo tiene sollevate tre dita. Intorno a queste tre dita è stata imbastita la leggenda dei trecento fichi d’india. Secondo quanto racconta Franco Pinto in uno dei suoi editoriali pubblicati sul nostro giornale, pare che nel momento in cui San Lorenzo divenne vescovo di Manfredonia, per omaggiarlo, gli vennero offerti trecento fichi d’India. Il popolo pensava li avrebbe condivisi con loro, e invece San Lorenzo li apprezzò tanto da mangiarseli tutti. Le conseguenze, come si può immaginare, furono disastrose. E così, dice Pinto, da tanne nen ce pôte vedì chió. Da qui San Lorenzo sarebbe diventato “amande di frustire”. Ma si dice anche che questo modo di dire sia legato all’estrema ospitalità dei manfredoniani, che permette a chi viene accolto nella nostra città di fare fortuna. Un’altra storia legata alle dita di San Lorenzo si svolge in Cattedrale, la chiesa a lui dedicata. Gli altari laterali sono dedicati ognuno ad un santo, che appare chiuso nella sua teca. La fantasia popolare ha dato vita ad una storiella che immagina cosa stessero dicendo o pensando i santi nel momento in cui vennero ritratti. Forse veniva raccontata per intrattenere i bambini, sempre annoiati durante le funzioni. Sul lato destro, partendo dal fondo della chiesa, più vicino all’altare, c’è il nostro patrono; accanto a lui San Filippo Neri; di fronte, oltre alla Madonna dell’Addolorata, ci sono San Francesco da Paola e San Pietro. Si racconta che San Francesco e San Filippo un giorno decisero di fare una gara a chi riusciva a mangiare più fichi d’India. Ne comprarono un bel po’ e, dopo averli sbucciati, cominciarono a mangiare. I giudici della gara erano San Lorenzo e San Pietro. San Filippo alternava ai fichi d’India un boccone di pane, mentre San Francesco li buttava giù senza pane. San Pietro lo avvisò: “Francè, se ne nte mange i fichedigne pu péne, t’intûfe!”. Ma San Francesco lo ignorò e continuò a mangiare i fichi senza pane. San Filippo, giunto al limite, allarga le braccia e si arrende: “Nen ci a fazze chió!”. Anche San Francesco si ferma, la pancia gli fa malissimo, e piegato dal dolore si appoggia al suo bastone. “Madonne, e che delôre!”. “Te l’avôve ditte je! Te sì mangéte duicinde fichedighe, e senza péne” gli disse San Pietro facendo segno con due dita. “No, veramente jevene trecinde!” rispose San Lorenzo mostrando tre dita in segno di rimprovero per l’amico Francesco. Nei racconti degli anziani ci è stata tramandata anche la storia di una donna che, passando dalla Cattedrale verso l’una e mezza, ora di pranzo, venne presa dalla voglia di entrare. Alla fine dell’ ’800 le chiese erano sempre aperte, anche contrôre (l’ora del pranzo e della pennichella). Entrando in chiesa la signora vide un vescovo che, con il breviario in mano, girava intorno all’altare pregando. “Uì, sté monsignôre ca ce sté dîcenne i raziûne” pensò la signora. Poi lo guardò meglio e si accorse che il monsignore altri non era che San Lorenzo! Presa dalla paura scappò via. Dopo un po’ tornò indietro e San Lorenzo non c’era più. Tornata a casa raccontò l’accaduto a sua madre che le disse: “Ne nce vé mé inde i luche sande a la contrôre pecché ce dé fastidje ai Sande e all’anîme du Prijatorie!”. Ringraziamo di cuore coloro che ci hanno raccontato queste storie, vero patrimonio della nostra cultura.
Mariantonietta Di Sabato