Andrea Pacilli, laureato in Filosofia e pubblicista dal 1996, dal 2006 ha dato vita nella città sipontina a un’intraprendente casa editrice con il marchio “Andrea Pacilli Editore”, caratterizzata da un catalogo di tutto e che attualmente si presenta fra le prime cinque case editrici pugliesi. Parallelamente con Buenaventura comunicazione, agenzia che opera anche nel settore della comunicazione d’impresa, si occupa di promozione del territorio in un orizzonte turistico. Con lui affrontiamo un colloquio volto essenzialmente a tracciare un profilo identitario dell’azienda; a spiegare le profonde motivazioni che l’hanno indotto a cimentarsi in un’impresa “rischiosa” ( visto la cronica carenza di lettori); a soffermarci – anche – sul suo rapporto con Manfredonia; e soprattutto a valutare la possibilità di stimolare alcune iniziative concrete. Da parte nostra, lo scopo di quest’intervista è semplicemente quello di avanzare delle riflessioni sulla città in una chiave critico-propositiva: un piccolo “sassolino” per smuovere acque troppo stagnanti, stimolando nuove energie per lo sviluppo.
- Signor Pacilli, com’è nata in lei la passione per l’attività editoriale? E’ stato tutto un può casuale, oppure c’è stato l’influenza di una figura ideale che l’ha particolarmente colpito e a cui ha deciso in qualche misura d’ispirarsi?
Prima di rispondere, la ringrazio per l’attenzione e per lo spazio che mi mette a disposizione. La mia attività editoriale è l‘espressione naturale dei miei studi di filosofia ed in particolare di filosofia del linguaggio, di semiotica, di antropologia, discipline naturalmente collegate con la comunicazione, di cui mi sono sempre occupato insieme all’attività pubblicistica. L’attività editoriale è sempre stata la mia passione, per tradizione familiare anche. Con un sorriso dico di rifarmi in definitiva alla grande tradizione umanistica e rinascimentale degli editori/filosofi, e non a caso ho cominciato a conoscere i moderni strumenti grafici informatici mentre facevo l’obiettore di coscienza nella biblioteca di San Marco in Lamis, dove i francescani avevano una postazione di computer che non aveva pari in provincia di Foggia e dove ho imparato a gestire gli strumenti della produzione editoriale.
- Qual è la collana che finora l’ha dato più soddisfazione in termini di vendita e di gradimento da parte dei lettori? Ed a prescindere da questa, v’è qualcuna in particolare che le sta più a cuore e verso la quale intende profondere maggiori energie giacché rispecchia una sua particolare visione o sensibilità culturale?
La nostra collana principale si chiama “Viaggiare lentamente”, dedicata esclusivamente al viaggio lento, al viaggio a piedi, al racconto di viaggio dove si parla del viaggio e del viaggiatore. La collana racconta il viaggiare, elemento costitutivo di ogni cultura umana, il viaggiare lento, sostenibile, armonico e rispettoso con le tradizioni e con l’ambiente. Da Heat Moon a Chatwin ai grandi viaggiatori del 700, il riferimento è quello. Poi c’è la collana di filosofia per bambini “Fabula vagabonda”, redatta da specialisti del settore, docenti ed illustratori che lavorano nel trevigiano. Importante è anche la collana “Manuali di selfhelp”, che si occupa di manuali di autoaiuto divulgativi ma rigorosi e scritti da esperti. Le tre collane che ho descritto sono caratterizzanti il mio marchio editoriale su tutto il territorio nazionale. Esso è riconoscibile per quelle, ma anche per l’estrema cura grafica, tipografica, editoriale che contraddistingue i miei libri: diciamo che sono una specie di “boutique” del libro, se è possibile fare questo simpatico paragone.
- Un’impresa editoriale, piccola o grande che sia, è lo specchio di una comunità in fermento o in movimento. In che misura la sua sta rispondendo a questa funzione promozionale, tenendo conto del perdurante stereotipo di una Manfredonia “sonnacchiosa”? Si ritiene sinora soddisfatto di quanto compiuto oppure vi sono ulteriori obiettivi da perseguire?
Purtroppo la mia attività editoriale non è lo specchio del territorio sipontino, né quello daunio e neppure pugliese, a parte alcuni rapporti estemporanei ma comunque importanti. Per intenderci, il mio è un marchio editoriale che si rivolge all’intero territorio italiano, in quanto è distribuito da Messaggerie, ossia sono l’unico editore della provincia di Foggia con distribuzione nazionale, e in Puglia siamo in cinque ad avere questa distribuzione. Il mio mercato è quello nazionale e non pugliese e tantomeno foggiano. La mia presenza a Manfredonia è quindi legata al fatto che ho famiglia e vivo qui, ma dal punto di vista imprenditoriale dovrei risiedere altrove. Il rapporto con Manfredonia è dunque personale, e l’attività di animazione culturale in loco, attraverso sì la casa editrice, l’agenzia di comunicazione, ma anche il Club Rotary, la Società di storia patria, l’attività giornalistica, fa parte di un impegno civile che per me è importante. A Manfredonia, a Foggia, non si legge e non si comprano libri, questo è un elemento caratterizzante estremamente negativo per il territorio. Manfredonia, come tutto il meridione, ha una nicchia di intellettuali, di studiosi, di ricercatori, di cultori, molto valida. Il problema è che è una minoranza ed in ogni azione che si fa deve coinvolgere la popolazione, per non parlare delle amministrazioni: questo è l’aspetto più impegnativo, ma non si deve desistere da questa azione.
- Mi consenta di soffermarmi su un aspetto privato. Come risaputo, lei è nipote del noto scrittore Cristanziano Serricchio: qual’è eventualmente il lascito umano ed intellettuale di cui non solo si sente portatore, ma che ha maggiormente influito sulla sua formazione ed intrapresa aziendale?
Beh, Serricchio è stato, con la tradizione della mia famiglia, un punto di riferimento costante: è stato il mio padrino di battesimo e il mio testimone di nozze. La simbiosi fra Serricchio e mio padre, nelle loro imprese di ricerca archeologica e storica sulle montagne del Gargano, con Ferri alla ricerca delle stele nelle campagne sipontine, nella catalogazione dei beni del territorio, e tanto altro ancora, era inscindibile; io chiaramente li ho sempre seguiti: me li ricordo immersi nel fango fino alla cintola mentre misuravano gli ambienti degli ipogei Capparelli negli anni 70, oppure negli anfratti delle fondamenta di Santa Maria Maggiore. Ho cercato di prendere quello che potevo: l’importanza della nostra storia, l’amore per il nostro territorio che Serricchio considerava sacro, l’esigenza di uno studio rigoroso e scientifico delle vicende tanto nazionali quanto locali, il rapporto con la poesia, l’importanza di aprire la mente a tutti i contributi esterni, di coinvolgere personalità internazionali nelle vicende locali, la salvaguardia del patrimonio storico e architettonico del nostro territorio. Tutto il resto è venuto naturalmente. Un altro personaggio importante è comunque stato anche Raffaele Nigro, che mi spinse a chiamare la casa editrice con il mio nome: disse che era importante caratterizzare l’azienda con la mia persona, perché così sarei stato riferimento per il territorio. Aveva ragione.
- Le faccio un’analoga domanda che su questo giornale ho rivolto allo storico Ognissanti. E cioè: non ritiene utile, come strumento di progresso in senso lato, promuovere nella nostra città una rivista culturale (magari online) che sia espressione del suo “sotterraneo” dinamismo storico-letterario ed artistico. Un “contenitore” cioè che valorizzi e dia risalto persino a nuovi talenti o studiosi seri ma semisconosciuti?
Certamente, il problema sono le risorse economiche: noi facevamo il “Corriere del Golfo”, di cui sono stato direttore responsabile per diversi anni tra la fine degli anni 90 e l’inizio del 2000. Era bello ma era dura. Sarebbe bello rimettere insieme un po’ di risorse umane per realizzare questo progetto, non è detto che non ci si provi.
- Avendo rivestito la carica di presidente della sezione Rotary di Manfredonia, sapreste dire quali iniziative culturali sono “in cantiere” e che sono state purtroppo sospese per l’imperversare della pandemia?
Il mio mandato è scaduto il 30 giugno del 2020, adesso il presidente del Club Rotary è l’ingegnere Raffaele Fatone. Il club sta proseguendo i programmi relativi alla candidatura delle stele daunie a patrimonio Unesco, all’ipotesi di candidare Manfredonia a capitale della cultura italiana per uno dei prossimi anni utili, ed altri progetti. L’ultimo grande evento pubblico è stato quello che ha ospitato Maria Luisa Nava, a febbraio del 2020, poco tempo prima che scoppiasse la pandemia. Quindi l’operatività è stata ridotta. Se non termina la quarantena non sarà possibile agire compiutamente, ma stiamo lavorando per essere pronti non appena possibile.
D A che punto, in proposito, è l’iter procedurale per il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unesco del nostro sito archeologico e delle Stele Daunie come beni storico-artistici di rilevanza internazionale? Vi sono, a suo parere, basilari presupposti e concrete possibilità di successo?
Le fornisco una notizia in anteprima: non sarà possibile candidare le stele nel catalogo del patrimonio materiale Unesco, né in quello immateriale. La regolamentazione non lo permette perché le stele non fanno più concretamente parte del paesaggio originario e l’Unesco riconosce i contesti culturali originari. Tuttavia stiamo pensando ad un terzo catalogo Unesco, quello relativo alle “memorie del mondo”, che protegge i documenti e le memorie, e cosa sono le stele se non straordinari documenti e memoria di un periodo storico e di un territorio fondamentale per l’Europa? Abbiamo contattato un manager che si occupa di progetti Unesco e stiamo studiando come proseguire. Continuiamo a lottare.
- Anni addietro si sono tenute alcune edizioni della Fiera del libro pugliese, sotto il patrocinio del preposto assessorato. Considera essenziale rilanciare un’iniziativa del genere, che prevedeva nella sua formulazione oltre a una mostra-mercato sull’editoria regionale anche eventi di dibattito sulle peculiarità del nostro territorio?
Non ho mai partecipato ad una fiera del libro locale o regionale in quanto non rientra nei miei interessi strategici, non appena possibile andrò a quella di Torino; ripeto, il mio è un mercato nazionale e mi devo muovere su questo livello altrimenti l’immagine del mio marchio rischierebbe una riduzione di visibilità. A livello locale, regionale, ci sono discorsi molto complessi da fare, l’unico davvero plausibile sarebbe quello che ha proposto lo scrittore Lagioia: una fiera del libro nazionale, come quella di Torino, a Bari, questa sì sarebbe un vantaggio per il meridione.
- Oltre al campo editoriale, la sua attività abbraccia anche quello della comunicazione e del marketing turistico. Dal suo particolare “osservatorio”, lungo quali direttrici d’intervento dovrebbe esplicarsi la politica culturale della prossima Amministrazione Comunale? Siamo del parere che alla base non vi sia soltanto una mera questione di finanziamenti.
E’ una questione di visione, e poi di progettazione e di pianificazione. Manfredonia dovrà ricostruire la propria immagine se deciderà di investire anche sull’aspetto culturale per trasformarlo non in una mera attrazione turistica ma in una vera e propria occasione di crescita economica. Personalmente credo che questa sia una delle direttrici possibili per il futuro della città. Ma per ridefinire tale immagine ci deve essere una corrispondenza fattuale, ossia la città, dal punto di vista architettonico, urbanistico, dal punto di vista delle abitudini, dei comportamenti, dell’educazione, della mentalità dei propri abitanti, delle competenze, deve rimettersi in gioco, si deve adeguare, maturare, migliorare concretamente. Non ha senso spendere soldi in campagne di comunicazione per una città culturale e/o turistica se i cittadini e gli imprenditori del settore continuano a comportarsi in maniera non adeguata: prima di pubblicizzarsi come città ospitale, della cultura, turistica, Manfredonia lo deve diventare nei costumi, negli atteggiamenti, sia individuali che pubblici, sia civici che imprenditoriali. Deve prendere coscienza delle proprie risorse per trasformarle in elementi produttivi. Il turismo non è fatto di baretti e ristorantini che campano sulle paghette che i nonni danno ai nipoti, ma di una offerta strutturata in una visione dal respiro perlomeno nazionale. C’è molta strada da fare, la città ha una grande tradizione di civiltà, di saper vivere e di cultura tipicamente italiani, di accoglienza; la Manfredonia degli anni 60/70 era un posto davvero divertente dove vivere e bello da scoprire. Ma la città deve cercare di recuperare quella tradizione
A cura di Domenico Di Nuovo