I fichi d’india di Manfredonia possono diventare una opportunità di sviluppo e generare posti di lavoro diretti ed indotti valorizzando le produzioni che oggi giacciono incolte e sottoutilizzate. Il paesaggio del Golfo è inequivocabilmente delineato dalle distese di Opuntia Ficus Indica, nei tratti e nelle storie, sin dal XVI secolo. Le piantagioni di fichi d’India fino ai primi del ‘900 costituivano un importante fonte di reddito per la comunità intera, poi abbondonate per la chimica. Oggi, con un po’ di coraggio e lungimiranza Manfredonia può contare anche sui fichi d’india per ripartire! Partiamo dal contesto di mercato: l’Italia è il terzo produttore mondiale di fico d’india e primo in Europa. Dopo Messico e Stati Uniti, l’85% della produzione nazionale è concentrata in Sicilia dove, tre anni fa, una start up la Bioinagro, ha trasformato il Distretto di San Cono da zona rurale in Sylicon Valley dell’agricoltura sostenibile utilizzando in tutte le sue parti il fico d’India arrivando anche al riconoscimento DOP. A Manfredonia, con le sue distese di fico d’India e la posizione logistica strategica, si potrebbe fare molto di più! A partire dalla richiesta di riconoscimento del Marchio di Origine Comunale del Fico d’india di Manfredonia. Con la De.Co. si tutela e valorizzano le attività agroalimentari artigianali tradizionali locali generando benessere per la comunità. Le coltivazioni estensive sono ritornate in auge con la programmazione del Piano di Sviluppo Rurale 2007/2013 della Regione Puglia che le ha finanziate ma non sono stati finora attivati circuiti di trasformazione e lavorazione del prodotto. Ogni parte del fico d’india è una risorsa economica sostenibile. Esistono tre Cultivar che differiscono per la colorazione del frutto: gialla (Sulfarina), bianca (Muscaredda) e rossa (Sanguigna) che possono essere coltivate insieme e la produzione è a bassissimo consumato di acqua. I frutti sono una miniera di antiossidanti naturali, vitamina C, calcio, fosforo e sali minerali. Oltre ad essere consumati freschi, costituiscono la base la produzione di succhi, liquori, gelatine marmellate, dolcificanti ed addensanti con un processo di trasformazione semplice e ad alto valore aggiunto. Le pale o cladodi sono utilizzabili in cucina da sole o per accompagnare altre pietanze fresche, in salamoia, sottaceto e alla griglia. Una farina ottenuta dalle bucce dei frutti può essere come ingrediente per la produzione di biscotti e prodotti da forno anche nelle linee Gluten Free. Ma le pale possono essere utilizzate come foraggio per la zootecnia sostenibile, per la realizzazione di siepi frangivento, per la pacciamatura, per la
produzione di compost e di bioenergie dal biogas al bioetanolo. Opportunamente trasformate le pale diventano adesivi e gomme, fibre per manufatti e carta. Esistono già linee di cosmetici a base di fico d’india dalle creme ai rossetti e saponi. Dai semi viene estratto l’olio, preziosissimo contro i radicali liberi ad elevatissimo contenuto di acidi grassi e Vitamina E, i. Infine, l’industria della nutraceutica estrae principi attivi fondamentali per esempio per la produzione di sacche parenterali. Si tratta di innovare in agricoltura e diversificare le linee di produzione utilizzando tecnologie esistenti di raccolta e post-raccolta, a partire dall’essiccazione che può avvenire al sole, in modo da ridurre i costi logistici e lasciare più margini di reddito agli agricoltori e integrando le diverse fonti di reddito con maggiore flessibilità rispetto agli andamenti del mercato. Imprese ed Università, centri di ricerca e associazioni molto possono fare per valorizzare una produzione tipica e attribuire valore aggiunto investendo su quello che esiste generando posti di lavoro e valore aggiunto. Ci sono opportunità di finanziare le iniziative non solo con i fondi del PSR ma anche del Ministero dello Sviluppo Economico e dell’innovazione e ricerca applicata.
di Michela Cariglia