Salvo colpi di scena dell’ultima ora, il 20 e il 21 settembre si tornerà alle urne per rieleggere il nuovo Consiglio regionale della Puglia.
Credo sarà un bel match da disputare anche se il campo rimane parecchio accidentato dai postumi pandemici. E tuttavia è un test che reputo importantissimo per il territorio della Capitanata, che è il nord del sud di una delle regioni più virtuose del Mezzogiorno d’Italia.
Insomma, una bella partita, con molte carte da scoprire e molte carte da giocare. Ma come?
Intanto una nota dolente. Nella Daunia la politica continua a camminare poco e male, soprattutto a causa di un personale politico che non sempre all’altezza del compito arduo che i tempi richiedono. E’ una storia lunga, quella di un declino inarrestabile, frutto di scelte improvvisate e comandate non da una classe dirigente ma da un ceto dominante. Si comanda, punto e basta!
Una constatazione la mia che fonda su quell’inquietante vuoto culturale che circonda buona parte della politica, salvo rare eccezioni che confermano la regola. Ricordo che il mio conterraneo Benedetto Croce lo aveva scritto a chiare lettere sin dal 20 marzo 1913, nel fascicolo de ”la critica”, raccontando nell’Italia risorgimentale ed immediatamente post risorgimentale dell’impossibilità di separare la politica dalla cultura.
Dunque, lo scenario è questo, in un paese sempre più spaesato, allarmato dalla paura di finire come la Grecia. E allora, che fare?
Una prima cosa utile sarebbe quella di rinnovare gli uomini e le donne del Palazzo. Sarebbe già un buon inizio, per l’appunto, ma è anche un’operazione difficile, troppo ardua. E poi bisognerà comunque scegliere, nel tentativo di guardare oltre il circostante, altra operazione complicata, perché sulla distanza, “nada de nada” direbbero in Spagna.
Michele Emiliano corre da favorito, inutile stare a cincischiare con i sondaggi. Lui ha il vantaggio di aver governato cinque anni attraversando una difficilissima congiuntura. Ha fatto molto ed ha saputo guidare un gioco di squadra anche quando qualcuno gli remava contro. La sua corsa sarà come la fuga di una lepre in un campo già battuto, palmo dopo palmo, di cui conosce insidie e nascondigli.
A Raffaele Fitto, schierato da un centro destra tornato miracolosamente assieme, il compito di avere la meglio su Emiliano. Anche qui, inutile andare dietro ad altre sirene maliarde. Fitto è l’unico che può tentare l’impresa, un’impresa difficilissima anche perché il centro destra non è che abbia lasciato nel Palazzo rose e fiori nel tempo che fu. Indubbiamente un cavallo di razza, abile e di spessore politico, Raffaele Fitto ha dovuto accettare questo ruolo. E già questo gli fa onore.
Per Antonella Laricchia sarà una bella sfida. Il movimento pentastellato è in profonda crisi. Ha perso lo smalto dei giorni di gloria e sarà una fatica vera mantenere il consenso della prima ora. Troppe cose sono avvenute nei 5 Stelle che hanno modificato quell’idea originaria come una plastica facciale. E’ il prezzo del potere: bere o affogare.
Quanto ad Ivan Scalfarotto, un Robin Hood della politica, credo che la sua sarà una passeggiata turistica, piena di selfie ed intelligenti trovate, ma scarsa di voti nelle urne. Del resto non v’è chi non veda in questa sua candidatura se non un’azione di mero disturbo ai cugini del Piddì, rei questi ultimi di aver mollato Matteo Renzi al suo destino tuttora difficile da catalogare.
Di Mario Conca posso dire che è una bravissima persona, anche per come si disimpegnava nel Movimento 5 Stelle, formazione da cui poi è uscito deluso. Sulle prime era molto vicino ad Emiliano, soprattutto sui temi della sanità. Alla fine questa sua scelta di correre da solo, una scelta improvvida quanto imprevedibile non saprei dire.
In questo quadretto non certo idilliaco si misureranno i 5 candidati presidenti. La scommessa è pesante perché serve cambiare passo, investire, semplificare, progettare, perché così, solo così si recupera il PIL perduto. E serve anche, bisogna dirlo, una nuova visione di profonda e positiva discontinuità con il passato. Le parti sociali, sindacali e datoriali, lo hanno detto chiaramente: la politica sembra non ascoltare il mondo del lavoro e della produzione quando siamo in timida ripresa, ma neanche quando rientriamo in recessione. Il punto è che questa volta le cose sono messe parecchio male e potrebbe andar peggio del 2011.
Le prime parole della nostra Costituzione sono: ”l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Cosa accade, se il lavoro è vietato per decreto?
🔵 Micky dè Finis, giornalista di lungo corso, ha sempre seguito la nostra testata, anche per i suoi antichi legami familiari con Manfredonia. Abruzzese di nascita ma sipontino di adozione, ha diretto numerosi testate. Oggi è editorialista di TeleFoggia .Notista politico di area cattolico democratica, dirige il Centrostudi di Confindustria a Foggia, pur continuando il suo impegno nella Direl a Roma. 🔵