Giovedì 21 Novembre 2024

Siamo all’alba di un tempo nuovo

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Tempo, ne ho avuto tanto. L’ho sentito scorrere lento, l’ho toccato, ho avuto quasi la sensazione di poterlo fermare. Rifletto.

La mia vita è come sospesa tra il passato, frenetico, fatto di rafting tra gli impegni quotidiani, il “non ho tempo”, e i silenzi dei giorni del lockdown che hanno segnato una linea tra quello che sono stato prima e come dovrò essere dopo.

Sì, perché la tempesta perfetta, Covid-19, segnerà nelle nostre vite un inevitabile “anno zero”, una nuova linea del tempo, il correva l’anno 2020 a.c. (avanti Covid-19) o 2020 d.c. (dopo Covid-19).

Nella dimensione surreale che ci ha avvolto e che potrebbe manifestarsi ancora se non abbandoneremo l’egoismo individuale che ci pervade, riecheggia l’angoscia di chi è stato costretto ad interrompere le proprie attività con il rischio di non essere in grado di garantire i regimi occupazionali precedenti o di essere divorato da una spirale di indebitamento che non sarà facile da gestire.

Hanno urlato di dolore le immagini di tutto il personale medico che si è visto sfuggire dalle proprie mani molte vite senza poter porre un argine a tutto ciò. Encomiabili.

E più il silenzio delle città sospese prendeva il sopravvento, tanto più forte ha risuonato e continua ancora a farlo, l’eco delle dichiarazioni di chi ha delle responsabilità politiche nei confronti del paese.

Ma non sono state parole di conforto, tutt’altro. E’stata, come da copione, l’inutile ridondante commedia dell’accattonaggio ad un misero spazio di visibilità.

L’Italia e le sue comunità sono e lo saranno per molto tempo ancora, soggetti fragili. Soggetti che non hanno bisogno di questa politica senza pudore, mineralizzata nella pigrizia comoda e vantaggiosa, che abbaglia chi l’ascolta nell’illusione di un agire che altro non è se non un’inazione, un rimandare, un non compiere. Essa intravede, in tali circostanze, un approdo sicuro dove attraccare la piccola imbarcazione del consenso elettorale.

Avremmo bisogno di esempi, di punti di riferimento, di uomini e donne che in situazioni di emergenza così acute e simmetriche si impegnino a sostenere quelle che sono le decisioni, giuste o sbagliate lo si vedrà in seguito quando tutto sarà finito, di chi in questo momento ha la responsabilità del governo del Paese e che ci facciano sentire soldati pronti al sacrificio in nome dell’appartenenza ad unica grande comunità, l’Italia. Altrimenti ogni sacrificio sarà risultato vano.

Forse, adesso, se proprio non si è in grado di elaborare discorsi sensati occorrerebbe avere l’umiltà di rimanere in silenzio. Il rischio? Alimentare un inutile ondata di odio sociale che non farebbe, di certo, bene a nessuno.

E poi c’è il domani, che vorrei fosse diverso da ieri. Ma che domani potrà essere per noi e soprattutto per  i nostri figli, se non riuscissimo a lasciarci alle spalle gli errori di ieri, se questo paese non riuscisse a migliore le proprie infrastrutture materiali e tecnologiche, a compiere una poderosa opera di sburocratizzazione, a rendere più efficiente ed universale il suo servizio sanitario nazionale, a rendere certi i tempi della giustizia, a riformare il sistema fiscale per non assuefarci alla giustificazione che forse i più di 100 mld all’anno di evasione sono il giusto pegno che lo Stato deve per un’alta pressione fiscale?

Sarà un caso, poi, ma l’equazione torna, basso tasso di scolarizzazione uguale alto rapporto deficit/PIL. L’Italia  è, tra i Paesi OCSE, quello che spende meno per l’istruzione dalla scuola primaria all’università, circa il 3,3% del PIL contro una media del 5% ed è il secondo tra gli Stati membri dell’UE con il più alto rapporto deficit/PIL, ma parliamo dell’anno 2020 a.c. (avanti Covid-19).

L’anno 2020 d.c. (dopo Covid-19), a livello macroeconomico, ha già prodotto la sua ipoteca per i prossimi anni sui conti pubblici e le cifre,  certificate dall’ultimo DEF, evidenziano un PIL tendenziale a -8% (-11% con una nuova e scongiurabile ondata di contagi),  411,55 miliardi di indebitamento aggiuntivo, da qui al 2031 che avranno bisogno di congrui avanzi primari per riavvicinare il debito alla media europea. Va da sé che l’indebitamento aggiuntivo avrà un costo, quello della spesa per gli interessi al servizio del debito stesso, altri 50,93 miliardi (spread permettendo e interventi BCE compresi).

In tale scenario di incertezza il rischio è che il combinato disposto degli effetti dei provvedimenti contenuti nel pacchetto di misure varato nel contesto temporaneo per gli aiuti di Stato dalla Commissione Europea lo scorso 2 aprile, sotto il quale ci stiamo riparando dalle ben più gravi conseguenze che sarebbero state causate da un isolamento sovranista ed del piano di politica monetaria varato dalla BCE, potrebbero non bastare.

E più vicino cosa succede? Poco o nulla.

Ormai da un po’ senza sindaco (meglio?), sull’orlo del dissesto finanziario al quale altro non manca se non una leggera spintarella per essere dichiarato tale, con problematiche che trasversalmente investono tutti i settori economici, con una zona industriale ed i vari comparti edilizi (solo per fare alcuni esempi) che altro non sono se non “eterni incompiuti”, la città ha la sua badante in una classe politica che limita i suoi sforzi a ragionamenti che si trascinano pigramente in dichiarazioni che sembrano più futili litigi tra comare sui balconi per mettersi in mostra agli occhi del vicinato, che vera azione volta alla costruzione di nuove strategie di interesse generale.

Se a questa polita, a questa classe dirigente, si potesse assegnare un rating, un c.d. giudizio di merito, così come quello che il sistema bancario assegna ai soggetti economici per poter accedere al credito, l’equazione la si risolverebbe con un facile esercizio di lettura delle indagini sulla qualità della vita delle provincie italiane: da ormai 30 anni occupiamo, saldamente, gli ultimi posti e nel 2019 la provincia di Foggia ha occupato il 105° su 107 totali (fonte IlSole24Ore). Ma parliamo dell’avanti Covid-19.

Qual’è, quindi, l’impegno che la classe politica a livello nazionale e locale, in maniera convergente, si sente di prendere per far in modo che questo paese veda la luce in fondo al tunnel che non sia quella di un treno pronto ad investirlo?

Vorrei che all’orizzonte dell’alba di domani si stagliassero nitide le figure di uomini che possono essere una nuova classe dirigente, una nuova classe politica in grado di dare a questa comunità la sensazione di non avere come unico obiettivo la conservazione di interessi da piccolo orto di erbe aromatiche, ma di creare i presupposti per la generazione di un ecosistema nel quale si possano sviluppare gli habiat favorevoli  per l’attrazione dei capitali necessari alla creazione di nuove opportunità di crescita con conseguenti ricadute occupazionali e volano, quindi, di maggiore capacità di spesa da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Ecco, vorrei soltanto una politica lungimirante non abbagliata da interessi particolari ma guidata dalla stella cometa dell’interesse generale, altrimenti il domani non potrà che essere più silenzioso di oggi.

 

Matteo Trotta

 

 

 

 

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