“In Puglia zero contagi non prima del 7 maggio”. A prevederlo è l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, coordinato da Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio e ordinario di Igiene all’università Cattolica, e da Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio.
Secondo gli esperti, “la fine dell’emergenza Covid-19 in Italia potrebbe avere tempistiche diverse nelle regioni a seconda dei territori più o meno esposti all’epidemia”. Le regioni del Centro-Nord in cui la diffusione di Sars-Cov-2 è iniziata prima, saranno “verosimilmente” le ultime a liberarsi dalla morsa di Covid-19.
Le differenze tra le regioni
Le prime potrebbero essere Basilicata e Umbria il 21 aprile; il Lazio dovrà probabilmente attendere “almeno il 12 maggio”; Veneto e Piemonte il 21 maggio; Emilia Romagna e Toscana non ne usciranno “prima della fine di maggio”, mentre il Sud Italia potrà forse cominciare a vedere la luce “tra fine aprile e inizio maggio”. Ecco la mappa.
L’opinione di Lopalco
Prima di allentare il lock-down e tornare progressivamente a una ripresa delle attività produttive e sociali, il Governo dovrebbe analizzare alcuni indicatori, non solo l’ormai “classico” R con zero, ossia l’indice di contagio. Il virologo Pier Luigi Lopalco, in un intervento sul portale Medicalfacts di Roberto Burioni, elenca i “numeri” da guardare con attenzione. Sulla base di quali informazioni – si chiede l’esperto – il Governo dovrebbe decidere di modificare le attuali misure di distanziamento sociale? “Certamente non possiamo aspettare che tutte le Regioni italiane arrivino a notificare in un tempo ragionevole zero casi. Aggiungo io: speriamo! Se infatti si arrivasse in breve tempo da qualche migliaio di notifiche a zero segnalazioni vorrebbe dire una cosa sola: che il sistema di sorveglianza non funziona”.
Nello specifico del sistema di sorveglianza COVID-19, sottolinea Lopalco, “bisogna tenere a mente che quello che si notifica sono le segnalazioni dei tamponi positivi da parte dei laboratori. Chi ha l’infezione da SARS-CoV-2, ma risulta negativo al tampone non viene segnalato. Chi ha una polmonite e non gli si fa il tampone non viene segnalato. Chi muore e non aveva fatto il tampone non viene segnalato”. Quindi anche ad avere zero casi notificati in un certo territorio “non vuol dire certo che il virus non sia presente su quello stesso territorio.
Come possiamo allora fidarci dei numeri? Ha senso fare curve, modelli, proiezioni, calcoli di R0 se ci basiamo su questi numeri? La risposta è si, ma bisogna essere consapevoli che il fattore di sottostima esiste, può essere importante e dare dunque a queste stime e modelli il giusto peso”.
Ma allora cosa dobbiamo chiedere ai numeri? O meglio, quali sono i dati che dobbiamo raccogliere per decidere se possiamo o non possiamo allentare le misure di distanziamento sociale? “In questo periodo, che precede appunto la fatidica Fase 2, sarebbe necessario raccogliere informazioni dettagliate sulla capacità dei diversi territori di condurre un’accurata sorveglianza epidemiologica. Solo allora saremmo sicuri che i dati rivenienti dal sistema di sorveglianza ci forniscono informazioni affidabili”.
Ecco alcuni indicatori che, per esempio, potrebbero servire allo scopo: “Quanti tamponi per 1.000 abitanti si riesce a fare in una settimana? Quanti tamponi sul totale risultano positivi? Qual è la quota di casi di COVID-19 registrati dal sistema di sorveglianza di cui non si conosce l’origine? Quanti focolai di trasmissione (catene di contagio) sono ancora aperti? Qual è la quota di casi COVID-19 che giungono alla segnalazione per la prima volta come “casi gravi”? Esiste un sistema di sorveglianza di “tosse e febbre” diffusa sul territorio attraverso pediatri di famiglia e medici di medicina generale che segnali precocemente eventuali focolai epidemici? Esiste un sistema di allerta che in tutti gli ospedali del territorio sia in grado si segnalare un eccesso di ricoveri di malattia respiratoria acuta grave?
Insomma – conclude – per decidere quando avviare la Fase 2 non mi fiderei del valore di R, nè tanto meno del numero di casi che tende a zero. Servirebbe che almeno quattro o cinque degli indicatori di cui sopra, che rappresentano solo un piccolo esempio, avesse un valore soddisfacente rispetto a uno standard. Sono sicuro che prima della Fase 2 lo sapremo”.